Il DURC documento unico di regolarità contributiva

Il DURC documento unico di regolarità contributiva, disciplinato attualmente, per le opere edilizie, dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 90 (in materia di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro) come modificato dal D.Lgs. n. 106 del 2009 è un certificato che attestala regolarità di un’impresa nei pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi nonchè in tutti gli altri obblighi previsti dalla normativa vigente nei confronti di INPS, INAIL e Casse Edili, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento.
Esso, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, stesso art. 90, comma 9, lett. c), deve essere trasmesso dal committente o dal responsabile dei lavori “all’amministrazione concedente, prima dell’inizio dei lavori oggetto del permesso di costruire o della denuncia di inizio attività”.
La normativa nazionale in materia di regolarità contributiva è spesso integrata da leggi regionali che individuano ulteriori fasi o particolari motivazioni che rendano necessario acquisire il DURC (ad es.: richiesta del certificato, nei casi di lavori privati in edilizia, anche alla fine dei lavori).
Il DURC rappresenta, dunque, un utile strumento per l’osservazione delle dinamiche del lavoro ed una forma di contrasto al lavoro sommerso e consente il monitoraggio dei dati e delle attività delle imprese affidatane di appalti.
Tutto ciò non ha nulla in comune con il governo del territorio (anche nella sua accezione più ampia) e la previsione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90, comma 10, – secondo la quale “in assenza del documento unico di regolarità contributiva delle imprese o dei lavoratori autonomi, è sospesa l’efficacia del titolo abilitativo” – ha carattere di sanzione amministrativa ulteriore rispetto alla sanzione amministrativa pecuniaria comminata, per la violazione dell’art. 90, comma 9, lett. c), dall’art. 157, lett. c), medesimo D.Lgs. in esame.
Il legislatore, dunque, non ha inteso prevedere sanzioni penali per le omissioni riferite alla trasmissione del DURC e sanzioni siffatte non possono essere surrettiziamente introdotte facendo ricorso alla previsione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. a).
Una norma residuale in materia di reati edilizi ed urbanistici – quale è pacificamente considerata quella di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. a), – risponde, infatti, all’esigenza di evitare che vadano esenti da pena condotte di aggressione al territorio che si traducono nella violazione sostanziale delle norme che prescrivono le modalità con cui possono concretamente essere effettuate le trasformazioni del suolo.

post 2011

reddito imponibile e assegno di mantenimento

Nella determinazione del reddito imponibile, ai fini IRPEF, della beneficiaria di un assegno di mantenimento, deve escludersi quella parte del suo ammontare destinato ai figli, nella misura indicata ovvero per la metà, se dal provvedimento dell’autorità giudiziaria non risulta una diversa ripartizione; concorre, pertanto, a comporne la base imponibile la parte a lei stessa destinata. (Cass. civ. Sez. V Sent., 14/05/2008, n. 12058)

materia tributaria e divieto di abuso del diritto

Corte di Cassazione n. 16341 del 27 luglio 2011

in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d\imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici: tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati, nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dellimposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali». Da ciò deriva che non si può opporre al fisco il negozio «per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall\operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione

post 2011

il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità

l’unitarietà dell’accertamento che è (o deve essere) alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicchè tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, cioè gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario: pertanto, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone al giudice adito in primo grado l’integrazione del contraddittorio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29), ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità per violazione del principio del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 2, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio (Cass., Sez. un., n. 14815 del 2008).

Peraltro, ad identica conclusione è già giunta questa Corte in relazione al ricorso proposto dalla società sopra indicata (Cass. n. 18593 del 2010). In conclusione, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio.”; che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti; che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie.

Considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, riaffermato il principio di diritto sopra richiamato e rilevata la nullità dell’intero giudizio, la sentenza impugnata deve essere cassata (così restando travolta anche quella di primo grado) e la causa rinviata alla Commissione tributaria provinciale di Avellino…

Cass. civ., sez. V, Ordinanza del 19 maggio 2011, n. 11092

post 2011

benefici fiscali della “prima casa”,

Al fine di evitare la decadenza dai benefici fiscali, tradizionalmente denominati della “prima casa”, e l’applicazione della soprattassa, nell’ipotesi di trasferimento dell’immobile prima del decorso del termine di cinque anni dalla data dell’acquisto, la nota II bis dell’art. 1 della parte prima della tariffa allegata al testo unico dell’imposta di registro del 1986, nel testo introdotto con l’art. 3, comma 131, della legge n.549/1995, prescrive al comma 4, ultimo periodo che il contribuente, entro un anno dal trasferimento “dell’immobile acquistato con i benefici, proceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale”. L’acquisto non dell’intero, ma di una quota dell’immobile, può beninteso integrare il requisito detto, ma solo qualora sia significativa, di per sé, della concreta possibilità di disporre del bene sì da poterlo adibire a propria abitazione. Ciascun partecipante alla comunione, infatti, come stabilisce l’art. 1102 cod. civ., può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. L’ acquisto di una quota particolarmente esigua di un immobile non può perciò comportare da solo il potere di disporre del bene come abitazione propria; esso è, cioè inidoneo a realizzare l’adibizione ad abitazione che è la finalità perseguita dal legislatore con il riconoscimento dell’aliquota dell’imposta ridotta sugli atti d’acquisto, e non vale, pertanto a realizzare la condizione dello “acquisto di altro immobile”, di cui al comma 4 della nota II dell’art. 1 della tariffa citata (sull’idoneità della titolarità di una quota di immobile ai fini dell’integrazione dello “speculare” requisito dell’impossidenza, cfr, Cass. n. 9647 dei 1999 e n. 10984 del 2007).

Cassazione, sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13291.

post 2011

D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11

Cass. pen., sez. III, 15.6.2011, n. 23986:

Secondo il chiaro tenore del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, commette il reato colui che, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto e relativi interessi e sanzioni, aliena simulatamente i propri beni o compie altri atti fraudolenti idonei a frustrare l’efficacia della riscossione coatta. Elementi costitutivi della fattispecie sono, sotto il profilo psicologico, il dolo specifico, cioè, il fine di sottrarsi al pagamento del proprio debito tributario; sotto l’aspetto materiale, necessita il compimento di una azione fraudolenta atta a vanificare l’esito della esecuzione tributaria coattiva (che non deve necessariamente essere in atto e si configura come una evenienza futura cha la condotta mira e neutralizzare). La struttura del reato si presenta differente da quella del d.P.R. n. 602 del 1972, art. 97, comma 6, (sostituita dalla L. n. 413 del 1991, art. 15, abrogata dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 25) che richiedeva il compimento, dopo la verifica fiscale, di atti fraudolenti che riuscivano a rendere inefficace, totalmente o parzialmente, l’esecuzione esattoriale. Mettendo a confronto le due fattispecie, si evidenzia, tra l’altro,che la vigente non richiede più la vanificazione della pretesa tributaria. Nel nuovo reato dell’art.11, l’evento materiale si trasforma da danno in pericolo essendo sufficiente la idoneità della condotta a raggiungere il fine illecito che il contribuente si prefigura; in tale modo, il Legislatore ha anticipato la tutela penale del bene protetto non limitandolo alla effettiva riscossione dei tributi, ma anche alla conservazione delle garanzie patrimoniale ad essa connesse (Sez. 3 sentenza 14720/2008). Dal testo della norma, si evince che gli atti fraudolenti non devono essere tali da rendere impossibile il pagamento del debito tributario, ma devono avere la potenzialità di raggiungere tale fine. Da quanto rilevato, deriva che il momento di consumazione del delitto deve essere fissato al compimento di qualsiasi atto che possa mettere in pericolo l’adempimento di una obbligazione tributaria. Venendo al caso in esame, si deve rilevare come la fraudolenta costituzione di un fondo patrimoniale sia condotta idonea ad ostacolare il soddisfacimento della pretesa fiscale (Cass. sezione 3 sentenza 582482008). Sul punto, è esatta la deduzione del ricorrente secondo il quale il fondo patrimoniale di cui all’art. 167 c.c., è soggetto alla disposizione dell’art. 162 c.c., circa le forme delle convenzioni matrimoniali,ivi inclusa quella del quarto comma che ne condiziona la opponibilità ai terzi alla annotazione del relativo contratto ai margini dell’atto di matrimonio, mentre la trascrizione ai sensi dell’art. 2647 c.c., è degradata a mera pubblicità – notizia (Sezioni Unite civili 21658/2001).

post 2011

opposizione a sanzione amministrativa e cartella esattoriale

Ribadito l’orientamento ormai consolidato secondo il quale: “In tema di opposizione a sanzione amministrativa, in mancanza di contestazione della violazione, l’impugnazione della cartella esattoriale ha funzione recuperatoria del mezzo di tutela che la parte non ha potuto a suo tempo esperire, sicchè l’opposizione deve ritenersi proponibile nel termine non già di trenta, bensì di sessanta giorni dalla notificazione, termine applicabile al ricorso avverso i verbali di accertamento di infrazioni alle norme del codice della strada“, cfr. Cassazione civile, sez. VI, 8 giugno 2011, n. 12505

post 2011

condono previsto dall’art. 9 bis della legge 289/2002 e pagamento rate

nello stabilire se il “condono” previsto dall’art. 9 bis della legge 289/2002 sia da ritenere valido anche nel caso in cui sia stata versata la prima rata, ma non le successive, oppure se tale circostanza comporti il suo mancato perfezionamento e la conseguente decadenza da ogni beneficio per il contribuente, la Commissione Tributaria Regione Puglia (Bari Lecce Sez. XXII) in data 5 maggio 2011, n. 97, ha stabilito che se, in mancanza di normativa specifica, si può fare riferimento per analogia ai principi generali ispiratori della legge, non vi è dubbio che dal momento che tali principi generali prevedono il perfezionamento del rapporto con il versamento della sola prima rata, ne deve conseguire che, anche nel caso previsto e disciplinato dall’art. 9 bis di cui si tratta, la condizione sufficiente perché la definizione dei versamenti omessi o ritardati possa considerarsi efficace e quella del versamento della sola prima rata, fermo restando il diritto dell’A.E. di pretendere il versamento di quanto dovuto e non versato a titolo di rate successive, con l’applicazione delle correlate e previste sanzioni ed interessi.

tassa di concessione governativa sui telefoni cellulari

la tassa di concessione governativa sui telefoni cellulari manca nell’attuale sistema ordinamentale, atteso che, da un punto di vista sostanziale, è del tutto assente il presupposto legislativo per l’imposizione tributaria, poiché, l’art. 21 della Tariffa allegata al d.p.r. 641/1972 risulta norma priva di contenuto, in quanto si riferisce ad un atto amministrativo previsto dall’art. 318 d.p.r. 156/1973, ormai abrogato; v. Commissione Tributaria Regionale Perugia, sez. I, 15 febbraio 2011, n. 37

imposta esigibile

la Cassazione chiede alla CGCE “se il termine di sei mesi successivi allo scadere dell’anno civile nel corso del quale l’imposta è divenuta esigibile, previsto, per la presentazione della domanda di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto da parte dei soggetti passivi non residenti all’interno del paese, dall’art. 7, paragrafo 1, primo comma, ultimo periodo, dell’ottava direttiva del Consiglio del 6 dicembre 1979, n. 79/1072/CEE, abbia carattere perentorio, sia cioè stabilito a pena di decadenza dal diritto al rimborso“, Cass., sez. trib., Ord. n. 11456 del 25 maggio 2011

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