’obbligo di traduzione del mandato di arresto Europeo

ad avviso di Cass., sez. VI, 7 giugno 2011, n. 22768:

la statuizione contenuta nella decisione quadro 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, circa l’obbligo di traduzione del mandato di arresto Europeo nella lingua ufficiale dello Stato membro di esecuzione – al pari della previgente disposizione di cui all’art. 23 della Convenzione Europea di estradizione – pone a carico dello Stato istante un onere allo scopo di assicurare la funzionalità ed il celere svolgimento della procedura di consegna, ma non determina di per sè la invalidità del mandato di arresto Europeo e della relativa procedura.
Sul piano interno, la L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 6, comma 7, nel fare propria la citata disposizione della decisione quadro, non prevede infatti specifiche sanzioni nel caso in cui il mandato sia pervenuto non tradotto nella lingua italiana.
Pertanto, se il mancato assolvimento di tale onere giustifica la richiesta di adempimento da parte dello Stato di emissione e può determinare – in caso di totale e persistente assenza della collaborazione sollecitata – l’emissione di una pronuncia che dichiara l’inesistenza delle condizioni per procedere alla consegna, dati i brevi termini d’esecuzione del mandato d’arresto Europeo, ciò non significa che l’autorità giudiziaria italiana sia priva del potere di ricorrere all’ausilio di un interprete (nelle forme previste dal nostro ordinamento) per colmare eventuali omissioni o lacune della traduzione o per ottenere integrazioni e chiarimenti ritenuti utili ai fini della decisione da adottare.
Di talchè il motivato e corretto esercizio di tale potere da parte del giudice non determina la dedotta violazione della legge processuale. Nè a maggior ragione può ritenersi viziata la motivazione della sentenza impugnata che si è conformata al predetto principio.

post 2011

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