prova della paternità naturale

L’art. 269 c.c., comma 4 – secondo il quale la sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra questa ed il preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità naturale – non esclude che tali circostanze, nel concorso di altri elementi, anche presuntivi, possano essere utilizzate a sostegno del proprio convincimento dal giudice del merito. (Cass. 22490/06 2640/03 14910/00).

La sentenza impugnata nell’esaminare con attenzione la decisione del giudice romeno ha rilevato che essa era fondata non solo sulle dichiarazioni della O., ma su tutta una ulteriore serie di elementi indiziari costituiti: dalla deposizione della teste T., che ha riferito delle frequentazioni del ricorrente con la O. e la di lei famiglia e del fatto che questi si era detto contento dell’arrivo del bambino; dalla mancata presentazione all’interrogatorio da parte del V.; dal fatto che dalle schede dell’albergo XXX era risultato che le parti avevano soggiornato nella stanza 123 poco più di nove mesi prima della nascita della piccola A.; dal fatto che l’ambasciata italiana in Bucarest aveva certificato, in data 1234, che le parti avevano eseguito pubblicazioni di matrimonio nel Comune di YYY.

L’accertamento della paternità, così come risulta verificato dalla sentenza della Corte d’appello, che oltretutto non risulta censurata in ordine alle sopra citate argomentazioni, è dunque avvenuto nel pieno rispetto dei principi stabiliti dalla legge italiana, così come gli stessi risultano interpretati dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, onde certamente nessuna violazione dell’ordine pubblico interno si è verificata.

Cass. civ., sez. I, 9 giugno 2011, n. 12646.

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r.r. raccomandata

un telegramma (cosi come una lettera raccomandata), anche in mancanza di ricevimento, attestata dall’ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione anzidetta e dell’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico, di arrivo al destinatario e di conoscenza dell’atto (v. Cass. 3^, 4.6.2007 n. 12954; 2^, 13.3.2006 n. 8649; Lav. 16.1.2006 n. 758; 3^, 24.11.2004 n. 22133; 3^, 27.2.01 n. 10284, conf. N. 3908/92, 1265/99, 4140/99, 13959/00). Siffatta produzione, ovviamente, non da luogo ad una presunzione iuris et de iure di avvenuto ricevimento dell’atto, essendo sempre possibile la specifica confutazione della circostanza e la prova contraria. Nel caso di specie tale confutazione, per quanto ritenuta “inequivoca” dal giudice di merito, non risulta essere idonea, non essendo stati addotti elementi di prova al riguardo (quali la circostanza che il plico non contenga alcuna lettera o ne contenga una di contenuto diverso: Cass. n. 22133/04; assenza del destinatario dalla residenza o domicilio indicati nel telegramma all’epoca della convocazione: 8649/06) o sollecitati accertamenti (presso gli uffici dell’amministrazione postale) atti a verificare l’assunta mancata ricezione,

così Cass. civ., sez. III, 20 giugno 2011, n. 13488.

il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità

l’unitarietà dell’accertamento che è (o deve essere) alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicchè tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, cioè gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario: pertanto, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone al giudice adito in primo grado l’integrazione del contraddittorio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29), ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità per violazione del principio del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 2, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio (Cass., Sez. un., n. 14815 del 2008).

Peraltro, ad identica conclusione è già giunta questa Corte in relazione al ricorso proposto dalla società sopra indicata (Cass. n. 18593 del 2010). In conclusione, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio.”; che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti; che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie.

Considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, riaffermato il principio di diritto sopra richiamato e rilevata la nullità dell’intero giudizio, la sentenza impugnata deve essere cassata (così restando travolta anche quella di primo grado) e la causa rinviata alla Commissione tributaria provinciale di Avellino…

Cass. civ., sez. V, Ordinanza del 19 maggio 2011, n. 11092

post 2011

a carico del debitore (medico o struttura sanitaria) l’onere

Ad avviso della Corte di Cassazione Civile, Sez. III, 7 giugno 2011, n. 12274:

La Corte d’Appello ha qualificato correttamente il rapporto come contrattuale ed, in diritto, ha tratto tutte le dovute conseguenze applicative dell’art. 1218 cod. civ., anche con riguardo al particolare aspetto della controversia che è specifico oggetto di censura. Nel valutare le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio la Corte di merito ha preso in esame anche quanto detto dal consulente a proposito dell’evenienza infettiva e ha ricondotto l’infezione ad un evento imprevisto e comunque non evitabile né imputabile alla condotta dei sanitari. Infatti, per un verso, ha escluso che fosse ascrivibile a colpa dei sanitari la causa mediata dell’infezione, vale a dire la scelta dell’intervento chirurgico d’urgenza, ritenuto indifferibile, e della tecnica operatoria, ritenuta giustificata e non sperimentale; per altro verso, ha ascritto la contaminazione della cavità addominale da parte di germi, della quale indubbiamente l’intervento chirurgico era stato occasione (o causa mediata), ad una complicanza che può sì verificarsi per interventi quale quello subito dall’attrice, ma in una percentuale talmente bassa che è da escludere che il relativo accadimento potesse essere previsto ed evitato dai sanitari adottando la diligenza richiesta nel caso concreto. Ed invero, pur non avendo la Corte d’Appello specificamente motivato in merito alla configurazione giuridica di detta causa di esonero da responsabilità, si è esplicitamente avvalsa dell’elaborato peritale supplementare – finalizzato proprio a conoscere la percentuale di verificazione della complicanza infettiva in casi di cesarei trattati con la tecnica di Stark – al fine di confermare la sentenza di primo grado che aveva utilizzato i parametri indicati dal consulente (nella misura compresa tra lo 0,3% e lo 0,7% delle concrete possibilità del verificarsi, in casi analoghi, di complicanze operatorie non imputabili ad omessa o insufficiente diligenza professionale ovvero ad imperizia dell’operatore) per affermare l’inevitabilità, nel caso concreto, di detta complicanza. Decidendo in tale ultimo senso la Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione dei principi più volte espressi in materia da questa Corte e che qui si ribadiscono, per i quali, in caso di prestazione professionale medica in struttura ospedaliera, resta a carico del debitore (medico o struttura sanitaria) l’onere di dimostrare che la prestazione è stata eseguita in modo diligente, e che il mancato o inesatto adempimento è dovuto a causa a sé non imputabile, in quanto determinato da un evento non prevedibile né prevenibile con la diligenza nel caso dovuta, in particolare con la diligenza qualificata dalle conoscenze tecnico-scientifiche del momento (cfr., tra le più recenti, Cass. 8 ottobre 2008, n. 24791, 15 ottobre 2009, n. 975, 29 settembre 2009, n. 20806).

post 2011

responsabilità civile e convivente “more uxorio”

Ad avviso di Cass. civ., sez. III, 7 Giugno 2011, N. 12278:
I giudici di merito hanno tenuto conto della particolarità della situazione in oggetto, condividendo la giurisprudenza, anche di legittimità, che in materia di responsabilità civile ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno conseguente alle lesioni o alla morte di una persona in favore del convivente “more uxorio” di questa, pur richiedendo che venga fornita, con qualsiasi mezzo, la prova dell’esistenza e della durata di una comunanza di vita e di affetti e di una vicendevole assistenza morale e materiale, cioè di una relazione di convivenza avente le stesse caratteristiche di quelle dal legislatore ritenute proprie del vincolo coniugale (Cass. Sez. 3, 29/4/2005 n. 8976).
In base agli stessi presupposti, la Corte di Appello ha ritenuto la sussistenza del diritto al risarcimento in favore di chi sia stata legata da un vincolo di filiazione naturale alla vittima del sinistro, ancorché non legalmente riconosciuta, laddove tale vincolo sia stato contraddistinto dalle medesime caratteristiche di quello tra genitore e figlio legittimo o naturale riconosciuto.
Dall’esame del compendio probatorio, i giudici di merito hanno ritenuto provato che da molti anni AAA aveva stabilito la sede principale della sua attività lavorativa a XXX e lì aveva costituito con BBB un’unione stabile, caratterizzata non soltanto da un legame affettivo, ma anche dalla gestione comune dei molteplici aspetti della vita quotidiana, con reciproco appoggio morale e materiale, nonchè, successivamente, dalla condivisione dei compiti connessi alla nascita e alla crescita della figlia CCC, con la quale il DDD intratteneva un rapporto sotto ogni profilo assimilabile a quello genitore-figlio;
che AAA. aveva peraltro mantenuto stabili legami, anche affettivi, con i figli legittimi e con la moglie, i quali vivevano a Salerno e con i quali trascorreva regolarmente le principali festività, provvedendo sotto il profilo economico alle esigenze anche di questo nucleo familiare.
Si osserva che i Giudici di appello hanno parificato, ai fini del risarcimento dei danno morale, la famiglia legale e la famiglia di fatto, in quanto per quest’ultima è stata provata la stabilità e la continuità nel tempo del rapporto e delle relazioni affettiva.
Successivamente hanno differenziato le singole posizioni degli aventi diritto, riconoscendo alla moglie ed alla convivente un importo maggiore rispetto ai figli, e per i figli un importo diverso per quelli conviventi e per la figlia sposata, a cui è stato liquidato un importo inferiore.
Quindi, nel risarcimento concreto del danno, tenendo conto della particolarissima situazione di un soggetto con due nuclei familiari legati a lui da una rapporto di protratta e contemporanea stabilità nel tempo, i giudici di merito, lungi dal lamentato automatismo, hanno tenuto conto della diversa intensità del vincolo familiare, moglie convivente e figli, e della effettiva convivenza liquidando alla figlia sposata un importo inferiore.

post 2011

diritto di accedere alla rete Internet e danno

Il Tribunale di S.Angelo dei Lombardi ha ritenuto che:

Sussiste, in primo luogo, il fumus boni iuris. Ed infatti la ricorrente, con analitica documentazione, ha dimostrato la propria qualifica imprenditoriale ed il proprio volume di affari (superiore ai dieci milioni di euro annui), evidenziando di essersi avvalsa dell’operato del funzionario XXX per la migrazione delle proprie linee telefoniche a XXX dopo un’infelice esperienza con YYY. La ricorrente ha altresì depositato i “codici migrazione” ritualmente consegnatigli da YYY già nel gennaio 2011 onde consentire a XXX di effettuare correttamente l’operazione di rientro, il che tuttavia non è avvenuto nei tempi contrattualmente stabiliti (sette giorni lavorativi)….Sussiste altresì il periculum in mora. Ed invero, la giurisprudenza è univoca nell’affermare che normalmente il pericolo del verificarsi di un danno patrimoniale non costituisce un danno grave ed irreparabile, in quanto il danno patrimoniale è per sua natura sempre riparabile mediante il successivo risarcimento; è noto infatti il principio secondo cui il pregiudizio irreparabile previsto dall’art. 700 c.p.c. sussiste solo quando siano in discussione posizioni soggettive di carattere assoluto, principalmente attinenti alla sfera personale del soggetto (e spesso anche dotate di rilievo e protezione a livello costituzionale), che rendano necessario un pronto ed immediato intervento cautelare al fine di assicurarne la completa tutela (cfr. Trib. Modena, 9 luglio 2003).

Orbene, non vi è dubbio che nella presente vicenda la posizione soggettiva della ricorrente rinvenga il proprio fondamento nel diritto di iniziativa economica privata, trovando un immediato addentellato costituzionale nell’art. 41 della Carta fondamentale, laddove la condotta illecita della resistente costituisce un vulnus alla necessità della comunicazione – anche e soprattutto telematica – della ricorrente (la cui compiuta efficienza costituisce una ineludibile necessità degli odierni traffici commerciali; ne è riprova – ad abundantiam ed in via esemplificativa – la recente presentazione di un disegno di legge costituzionale – n. 2485 – dal seguente tenore: “Dopo l’articolo 21 della Costituzione è inserito il seguente: «Art. 21-bis. Tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire le violazioni dei diritti di cui al Titolo I della parte I.»”). L’impossibilità di comunicare telefonicamente incide quindi in maniera significativa sulle modalità di svolgimento dell’attività imprenditoriale della ricorrente (si pensi, ad esempio, all’impossibilità o quantomeno alla maggiore difficoltà di effettuare o di ricevere commesse, anche via Internet), la quale si trova esposta al rischio di perdita di clientela o comunque di ritardi e difficoltà nella gestione dei propri rapporti commerciali, con conseguente necessità di tutela giurisdizionale immediata. La ricorrente ha altresì domandato corredarsi la condanna giudiziale di un provvedimento di coercizione indiretta ex art. 614-bis c.p.c., come introdotto dalla legge n. 69/2009.

La richiesta – invero sottratta al potere officioso del giudice e rimessa all’impulso di parte va accolta, dal momento che la condanna accessoria costituisce un indubbio stimolo per la re-sistente al sollecito adempimento del comando giurisdizionale, scongiurando altresì il rischio di un successivo contenzioso (in termini, Trib. Cagliari, 19 ottobre 2009). Nel caso di specie, peraltro, tale istituto acquisisce un decisivo rilievo in quanto l’ordine giurisdizionale di riattivazione delle linee telefoniche non è suscettibile di esecuzione forzata, giacché l’attività di ripristino non può concretamente prescindere dal comportamento attivo del gestore del servizio telefonico. Né l’ampiezza della dizione normativa (“Con il provvedimento di condanna …”) consente di escludere dal proprio alveo applicativo i provvedimenti a natura cautelare anticipatoria, tanto più ove gli stessi racchiudano – come nella presente vicenda – un ordine di prestazione (cfr. Trib. Varese, 16 febbraio 2011). L’art. 614-bis c.p.c. fornisce altresì i parametri di riferimento per la quantificazione della somma dovuta: “Il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile”. Orbene, alla luce di siffatti criteri e tenendo conto, soprattutto, del perdurante inadempi-mento della resistente, la quale non ha prestato esecuzione al decreto reso inaudita altera parte con ciò frustrando l’autorità delle decisioni giudiziarie (il che esclude qualsiasi iniquità), ritiene questo Giudice di quantificare in euro 50,00 per ogni giorno di ritardo nell’attivazione delle linee telefoniche la somma di denaro da corrispondersi dalla resistente in favore della ricorrente.

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vendita e garanzie dei beni di consumo

Corte di Giustizia Prima Sezione, 16 giugno 2011, procedimenti riuniti

1) L’art. 3, nn. 2 e 3, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 25 maggio 1999, 1999/44/CE, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, deve essere interpretato nel senso che, quando un bene di consumo non conforme, che prima della comparsa del difetto sia stato installato in buona fede dal consumatore tenendo conto della sua natura e dell’uso previsto, sia reso conforme mediante sostituzione, il venditore è tenuto a procedere egli stesso alla rimozione di tale bene dal luogo in cui è stato installato e ad installarvi il bene sostitutivo, ovvero a sostenere le spese necessarie per tale rimozione e per l’installazione del bene sostitutivo. Tale obbligo del venditore sussiste a prescindere dal fatto che egli fosse tenuto o meno, in base al contratto di vendita, ad installare il bene di consumo inizialmente acquistato.

2) L’art. 3, n. 3, della direttiva 1999/44 dev’essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che attribuisca al venditore il diritto di rifiutare la sostituzione di un bene non conforme, unico rimedio possibile, in quanto essa gli impone, in ragione dell’obbligo di procedere alla rimozione di tale bene dal luogo in cui è stato installato e di installarvi il bene sostitutivo, costi sproporzionati tenendo conto del valore che il bene avrebbe se fosse conforme e dell’entità del difetto di conformità. Detta disposizione non osta tuttavia a che il diritto del consumatore al rimborso delle spese di rimozione del bene difettoso e di installazione del bene sostitutivo sia in tal caso limitato al versamento, da parte del venditore, di un importo proporzionato.

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diciture quali copia d’autore o fac-simile

La Suprema corte con una sentenza del 14 giugno 2011 ha chiarito che la apposizione di diciture quali copia d’autore o fac-simile su prodotti industriali recanti marchi contraffatti, non fa venire meno la integrazione del reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, trattandosi di ipotesi delittuosa che tutela la fede pubblica, intesa come affidamento nei marchi o nei segni distintivi, e che integra una figura di reato di pericolo, per il cui perfezionamento è necessaria soltanto l’attitudine della falsificazione a ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell’acquisto, ma anche a quello della successiva utilizzazione.

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opposizione a sanzione amministrativa e cartella esattoriale

Ribadito l’orientamento ormai consolidato secondo il quale: “In tema di opposizione a sanzione amministrativa, in mancanza di contestazione della violazione, l’impugnazione della cartella esattoriale ha funzione recuperatoria del mezzo di tutela che la parte non ha potuto a suo tempo esperire, sicchè l’opposizione deve ritenersi proponibile nel termine non già di trenta, bensì di sessanta giorni dalla notificazione, termine applicabile al ricorso avverso i verbali di accertamento di infrazioni alle norme del codice della strada“, cfr. Cassazione civile, sez. VI, 8 giugno 2011, n. 12505

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onere della prova insuccessp medico

nel caso in cui non risulti dimostrato che il danno si sarebbe verificato anche in mancanza della sofferenza fetale durante il travaglio ed il parto, occorrerà accertare (secondo i criteri più volte richiamati in precedenza) se i sanitari siano incorsi in un’omissione in quei momenti (per non avere tempestivamente diagnosticato una sofferenza fetale effettivamente verificatasi e quindi per non aver compiuto interventi idonei a porvi rimedio od anticipato il parto); se in applicazione dei criteri di riparto dell’onere della prova esposti sub 2 e 3, il giudice di merito dovesse giungere, comunque, ad escludere che vi sia stato un insulto anosso-ischemico intrapartum non dovrà procedere oltre, essendo escluso l’antecedente causale addotto dalla parte attrice; – se, invece, dovesse ritenere, sempre secondo detti criteri, anche soltanto la ragionevole probabilità della verificazione di una sofferenza fetale, dovrebbe accertare e valutare se l’allegata omissione possa essere stata causa (o concausa), secondo un giudizio di adeguata probabilità, sul piano scientifico, della patologia della bambina; e soltanto all’esito positivo di quest’ultimo accertamento potrà dirsi, dunque, accertato che se i sanitari fossero intervenuti tempestivamente (ossia, avessero evitato o limitato la sofferenza fetale) è più probabile che la nascitura sarebbe nata sana (o comunque affetta da patologie meno gravi) e meno probabile che sarebbe nata con le patologie oggi invece riscontrabili; quindi, potrà dirsi accertato il nesso di causalità. Risolto come sopra il problema del nesso causale, il giudice di merito dovrà compiere la diversa ed ulteriore valutazione in merito alla scusabilità della condotta di ciascuno dei convenuti, ossia se questa fu o meno cagionata da colpa professionale, in applicazione della regola per la quale, in ragione della natura contrattuale del rapporto sottostante (presunzione semplice di responsabilità a carico sia degli enti che dei medici alle loro dipendenze – art. 1218 c.c.), l’onere della prova che l’insuccesso non sia dipeso da mancanza di diligenza (e, soprattutto, di perizia professionale specifica) incombe a carico dei medici e degli enti di appartenenza.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 09-06-2011, n. 12686

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