Evitare la liquidazione giudiziale: come dimostrare la natura agricola della tua impresa

Evitare la liquidazione giudiziale: come dimostrare la natura agricola della tua impresa

Quando un’azienda agricola o un agriturismo si trovano in difficoltà economica, il rischio di essere dichiarati in liquidazione giudiziale (l’ex fallimento) è concreto.
Tuttavia, se l’attività è prevalentemente agricola ai sensi dell’art. 2135 c.c., la legge prevede una tutela speciale: l’impresa non è soggetta a liquidazione giudiziale, ma a strumenti di composizione diversi.
Tutto dipende dalla prova concreta della natura agricola

1. Cosa serve per dimostrare la prevalenza agricola

Il giudice non si limita all’etichetta “azienda agricola”, ma valuta dati oggettivi:

  • Ricavi e volumi d’attività: confronto tra redditi agricoli e attività connesse (es. agriturismo, ristorazione).

  • Monte lavoro: ore o giornate dedicate alla produzione agricola rispetto ad attività non agricole.

  • Origine dei prodotti: percentuale di materie prime di produzione propria utilizzate nella trasformazione o somministrazione.

  • Iscrizioni e certificazioni: registro imprese sezione agricola, qualifica IAP, iscrizione previdenziale agricola.

  • Perizia agronomica e contabile: documento tecnico essenziale per descrivere il ciclo produttivo, il legame tra terreni, risorse e ricavi.

2. Zone svantaggiate e soglie ridotte

Le aziende situate in zone svantaggiate (LFA o ONC) godono di regimi speciali: il requisito di prevalenza può essere valutato in modo più flessibile, poiché le rese e le superfici coltivabili sono inferiori rispetto ad altre aree.
Tuttavia, questo elemento non basta da solo: la prova documentale resta indispensabile.

3. L’importanza della consulenza legale e tecnica

Una difesa efficace combina elementi contabili e agronomici con argomenti giuridici solidi.
Lo Studio Legale  De Stefano e Iacobacci  assiste imprese agricole e agriturismi in crisi nella predisposizione della documentazione, nella consulenza tecnica e nella difesa in giudizio contro richieste di liquidazione giudiziale.

Contattaci per una valutazione dei tuoi documenti e scopri se la tua azienda può essere tutelata come impresa agricola.
📧 info@studiolegaledesia.com

Cassazione Penale, sentenza n. 33770/2025: accolta la difesa dell’Avv. Danilo Iacobacci. “Il fatto non sussiste”

Cassazione Penale, sentenza n. 33770/2025: accolta la difesa dell’Avv. Danilo Iacobacci. “Il fatto non sussiste”

Con la sentenza n. 33770 del 2025, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha accolto integralmente il ricorso proposto dall’Avv. Danilo Iacobacci, annullando senza rinvio la condanna inflitta in appello e pronunciando la formula più ampia: “perché il fatto non sussiste”.
Una decisione limpida e di grande valore giuridico, che conferma la capacità del penalista avellinese di trasformare un vizio di logica e diritto in una pronuncia assolutoria definitiva.

Il cuore della decisione: la logica del “ragionevole dubbio”

La vicenda riguardava la contestazione di un reato di detenzione ai fini di spaccio per appena 13 grammi di sostanza stupefacente.
I giudici di merito avevano ritenuto che la pluralità delle sostanze (cocaina, anfetamina, hashish e marijuana) bastasse a far presumere lo spaccio.
Ma la Suprema Corte, accogliendo il ricorso dell’Avv. Iacobacci, ha demolito questo ragionamento, definendolo “intrinsecamente illogico e assertivo”: nessun elemento concreto, nessun riscontro effettivo, nessun dato fattuale tale da superare il dubbio che si trattasse di uso personale.

La Cassazione ha sottolineato che:

  • l’assenza di altri stupefacenti o strumenti di confezionamento escludeva qualsiasi organizzazione di spaccio;
  • una singola bustina vuota non può essere equiparata a “materiale da confezionamento”;
  • è “inverosimile” ipotizzare che un giovane si fosse spostato per centinaia di chilometri solo per vendere una modica quantità di droga.

Ne deriva un principio chiaro: il sospetto non può diventare prova, e l’uso personale non può essere escluso in modo apodittico.

Il valore del diritto al silenzio

Altro punto decisivo della sentenza è il richiamo, di alto profilo garantista, al principio del “nemo tenetur se detegere”.
La Corte ha ribadito che il silenzio dell’imputato non può essere interpretato come indizio di colpevolezza.
Il giudice può valutarlo solo in presenza di un compendio probatorio solido e coerente, che nel caso in esame non esisteva.

Questa impostazione, fatta valere con forza dall’Avv. Iacobacci, ha segnato il discrimine tra la conferma di una condanna e un’assoluzione piena.

“Il fatto non sussiste”: quando la Cassazione ristabilisce la verità processuale

La Suprema Corte ha dunque annullato senza rinvio la sentenza impugnata, affermando che non solo mancavano le prove, ma che l’intera costruzione accusatoria non reggeva alla prova della logica.
In poche parole: nessun elemento univoco, nessuna prova oltre ogni ragionevole dubbio.

La pronuncia segna un precedente importante per tutti i casi in cui la presunzione di spaccio viene dedotta da quantità minime o da indizi equivoci, e riafferma la centralità del principio di colpevolezza e della proporzionalità della pena.

La firma di un cassazionista vero

L’esito della sentenza n. 33770/2025 è il frutto di una difesa tecnica calibrata sui vizi tipici di legittimità:

  • contestazione del ragionamento illogico e contraddittorio della Corte d’appello;
  • valorizzazione dell’assenza di dati oggettivi di spaccio;
  • richiamo ai principi costituzionali e convenzionali sul diritto di difesa.

Una strategia che la Suprema Corte ha pienamente accolto, restituendo al ricorrente la libertà e alla giustizia la sua coerenza.

Perché questa sentenza parla anche a chi cerca un cassazionista penale

Chi si rivolge a un avvocato cassazionista in materia penale sa che non serve “rifare il processo”, ma individuare l’errore di diritto o di logica che può cambiare tutto.
L’Avv. Danilo Iacobacci ha dimostrato, ancora una volta, che la Cassazione premia le difese fondate su:

  • analisi rigorosa degli atti;
  • selezione chirurgica dei vizi;
  • capacità di tradurre un’ingiustizia di merito in un vizio giuridico riconoscibile.

Conclusione

La sentenza n. 33770/2025 rappresenta una vittoria non solo per l’imputato, ma per il diritto penale garantista: riafferma che la libertà personale non può essere sacrificata su mere supposizioni.
Un risultato che porta la firma dell’Avv. Danilo Iacobacci, e che conferma la sua reputazione tra i più competenti avvocati cassazionisti in materia penale, capace di trasformare la tecnica processuale in giustizia sostanziale.

Cassazione, sentenza n. 30123/2025: accolto il ricorso dell’Avv. Danilo Iacobacci. Ecco perché è una vittoria che conta

Cassazione, sentenza n. 30123/2025: accolto il ricorso dell’Avv. Danilo Iacobacci. Ecco perché è una vittoria che conta

Quando si arriva in Cassazione, non bastano buone ragioni: serve una strategia chirurgica, capace di trasformare errori motivazionali e travisamenti in principi di diritto. È ciò che ha fatto l’Avv. Danilo Iacobacci in un procedimento penale di forte impatto sociale, ottenendo dalla Suprema Corte—con sentenza n. 30123/2025—l’accoglimento del ricorso proposto nell’interesse della parte civile, con annullamento limitatamente agli effetti civili e rinvio al giudice civile d’appello. La decisione, oltre a confermare la responsabilità penale già accertata nei gradi di merito, ripristina un corretto perimetro di tutela risarcitoria per la persona offesa, censurando le lacune motivazionali della sentenza impugnata.

Il cuore giuridico della decisione

La Corte ha valorizzato due direttrici essenziali:

  1. Vizio di motivazione/travisamento per omissione: i giudici di merito non avevano dato conto di atti e risultanze puntuali—documenti, turnazioni, presenze e videoriprese—che dimostravano la presenza della minore nel contesto degli episodi e, dunque, la configurabilità quantomeno della “violenza assistita” (maltrattamento anche in forma indiretta). L’assenza di un confronto analitico con tali elementi ha imposto l’annullamento in sede civile.
  2. Corretta qualificazione giuridica del fatto: la Corte ha ribadito che la fattispecie di maltrattamenti (art. 572 c.p.) ricorre quando condotte plurime creano un clima vessatorio e di sofferenza, specie in danno di soggetti vulnerabili, e che ciò esclude l’alternativa dell’abuso dei mezzi di correzione (art. 571 c.p.), giacché qualsiasi forma di violenza fisica o psichica è incompatibile con un lecito potere educativo.

Perché questa vittoria è importante (anche per chi cerca un cassazionista penale)

  • Rimette al centro la tutela della persona offesa: la Cassazione ha chiarito che il giudice dell’appello civile dovrà riesaminare, in modo completo e coerente, tutte le prove già in atti, senza scorciatoie motivazionali. Per chi ha subito un reato, questo si traduce in una chance reale di ristoro quando l’impianto probatorio lo consente.
  • Consolida principi di sistema: la decisione richiama un orientamento già maturo—anche nella legislazione successiva—secondo cui il minore che assiste ai maltrattamenti è persona offesa del reato, con tutte le relative conseguenze sul piano degli effetti civili. È un tassello ulteriore verso un diritto penale attento alle vittime e non solo alla tipicità astratta.
  • Alza l’asticella della motivazione: dove ci sono video, turni, presenze e testimonianze, ignorare o sminuire il compendio probatorio non è consentito. La Suprema Corte pretende sentenze che spieghino davvero le ragioni del decidere, specie quando si tratta di rigettare la domanda risarcitoria di una parte civile.

La strategia vincente dell’Avv. Danilo Iacobacci

Il ricorso ha colpito nel punto giusto: non ha chiesto una nuova valutazione di merito, ma ha denunciato lacune logiche e salti motivazionali nella ricostruzione dei giudici di appello sugli effetti civili. In Cassazione, questo fa la differenza.

  • Focus sull’omessa valutazione di atti decisivi (elenchi, turni, presenze, videoriprese): materiale idoneo a dimostrare la presenza della persona offesa durante gli episodi, dunque la sua qualità di persona direttamente lesa o, comunque, di vittima di maltrattamento assistito.
  • Inquadramento coerente delle fattispecie: messa in chiaro la netta linea di confine tra maltrattamenti e abuso dei mezzi di correzione, in adesione alla traiettoria giurisprudenziale più autorevole.
  • Domanda di giustizia “mirata”: l’annullamento limitato agli effetti civili è l’esito tipico di un ricorso tecnicamente calibrato, che tutela la vittima senza rimettere in discussione l’accertamento penale già consolidato.

Cosa significa per te, oggi

Se stai cercando un avvocato cassazionista in materia penale che sappia trasformare una sentenza ingiusta in una pronuncia di principio utile e concreta, questa decisione è un biglietto da visita:

  • Tecnica processuale: selezionare il vizio giusto (motivazione, travisamento per omissione, violazione di legge) e sostenerlo con atti inconfutabili.
  • Visione di sistema: ricondurre il caso al principio corretto (maltrattamenti vs abuso dei mezzi di correzione; persona offesa anche quando “assiste”) e far emergere l’errore non come opinione, ma come violazione controllabile in sede di legittimità.
  • Risultato utile: ottenere un rinvio che riapre davvero il capitolo risarcitorio, costringendo il giudice al riesame analitico di prove decisive.

Perché scegliere un cassazionista esperto in penale

  • Conoscenza dei canoni di legittimità: la Cassazione non è il “terzo grado di merito”. Serve saper parlare il linguaggio dei vizi tipici (art. 606 c.p.p.), evitando ricorsi generici o meramente fattuali.
  • Capacità di “leggere” le sentenze: individuare dove la motivazione salta, dove ignora prove dirimenti, dove applica male il diritto vivente.
  • Orientamento al risultato: non tutto si può ribaltare; molto, però, si può correggere. E quando si corregge bene, la tutela della vittima diventa effettiva.

Se hai bisogno di assistenza in ricorsi per Cassazione penale—dalla messa a fuoco del vizio alla scrittura del motivo davvero decisivo—questa è l’esperienza che fa la differenza.

Il “danno da mancato commiato”: quando negare l’ultimo saluto diventa un illecito risarcibile

Il “danno da mancato commiato”: quando negare l’ultimo saluto diventa un illecito risarcibile

di Fabiola De Stefano | Avvocato Cassazionista

Il Tribunale di Novara (sentenza n. 357/2025 del 14 luglio) ha riconosciuto una nuova e delicata forma di lesione dei diritti della persona: il danno da mancato commiato.
Si tratta di una decisione che apre la strada a un’importante riflessione giuridica e umana: può costituire illecito civile il fatto di impedire a un familiare di salutare per l’ultima volta una persona cara.

Il contesto

Durante la pandemia da COVID-19 molte strutture sanitarie e residenziali (RSA) hanno vietato o limitato le visite dei familiari, in nome della tutela della salute pubblica. Tuttavia, il Tribunale ha chiarito che anche in simili situazioni il potere discrezionale delle strutture deve essere esercitato nel rispetto dei diritti fondamentali, e ogni restrizione va valutata alla luce dei principi di proporzionalità e ragionevolezza.

Il caso deciso

Nel caso esaminato, un familiare non aveva potuto accedere alla struttura per dare l’ultimo saluto a un congiunto in fin di vita. Il giudice ha ritenuto che la struttura avesse agito in modo ingiustificatamente rigido, senza valutare alternative idonee a garantire un contatto umano (anche breve o protetto), e ha quindi riconosciuto la responsabilità extracontrattuale della struttura per il pregiudizio arrecato.

Un danno non patrimoniale “esistenziale”

Il cosiddetto danno da mancato commiato incide sulla sfera più intima e relazionale della persona, privandola di un momento fondamentale di vicinanza, affetto e congedo.
È un danno non patrimoniale, da liquidare equitativamente, tenendo conto dell’intensità del legame affettivo, delle circostanze e dell’effettiva possibilità di prevedere e prevenire la lesione.

Il valore umano e giuridico della decisione

La sentenza sottolinea che la dignità della persona e il diritto ai legami familiari non possono essere completamente sacrificati neppure in situazioni di emergenza. Le strutture sanitarie sono tenute a bilanciare la sicurezza con la tutela dell’umanità e del rispetto del dolore altrui, garantendo – ove possibile – forme di contatto, anche simbolico.

Cosa cambia

Il riconoscimento del danno da mancato commiato apre a nuove prospettive per i familiari che si vedono negare arbitrariamente il diritto all’ultimo saluto, e per le strutture sanitarie e assistenziali, chiamate a rivedere i propri protocolli interni alla luce della responsabilità civile e dei diritti fondamentali.

 

Studio Legale De Stefano & Iacobacci  segue con attenzione l’evoluzione della giurisprudenza in materia di responsabilità civile e tutela della persona.
Per una consulenza su casi di danno morale o relazionale causato da condotte sanitarie o amministrative, puoi contattarci direttamente tramite il sito www.studiolegaledesia.com.

sentenza Petruzzo e altri c. Italia (CEDU, 9 ottobre 2025)

Di seguito una sintesi chiara e completa in italiano della sentenza Petruzzo e altri c. Italia (CEDU, 9 ottobre 2025)

Oggetto del caso

La causa riguarda due gruppi di cittadini italiani che si sono visti confiscare terreni e fabbricati perché le autorità li avevano considerati frutto di lottizzazione abusiva.

Il primo gruppo comprendeva i proprietari originari dei terreni (97.000 m²), sui quali avevano costruito due edifici su meno di 300 m²; il secondo gruppo era composto dagli acquirenti di alcuni appartamenti costruiti su quei terreni.

La decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo

La Corte ha deciso all’unanimità che: non vi è stata violazione dell’art. 7 CEDU (“nessuna pena senza legge”) per il primo gruppo di proprietari originari; vi è stata violazione dell’art. 7 CEDU per il secondo gruppo di acquirenti; vi è stata violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 (diritto di proprietà) per tutti i ricorrenti.

Per il primo gruppo (proprietari originari)

La Corte ha ritenuto che: le norme italiane sulla lottizzazione abusiva erano sufficientemente chiare e prevedibili; i proprietari sapevano o avrebbero dovuto sapere che il terreno era soggetto a vincoli edilizi (“zone bianche”) e che la costruzione violava il piano urbanistico; la confisca è stata disposta dopo un accertamento dei fatti e una sentenza che aveva riconosciuto la sussistenza del reato, anche se estinto per prescrizione.
→ Pertanto nessuna violazione dell’art. 7.

 

Tuttavia, la Corte ha rilevato che la confisca di tutti i 97.000 m² era sproporzionata, poiché gli edifici abusivi occupavano meno di 300 m².
Violazione dell’art. 1 Prot. n. 1 (proprietà) per eccesso e mancanza di proporzionalità.

 

Per il secondo gruppo (acquirenti degli appartamenti)

La Corte ha stabilito che gli acquirenti non erano stati parte del processo penale, né formalmente accusati.

La confisca dei loro beni era quindi una “pena” imposta senza processo, in violazione delle garanzie fondamentali.

Le autorità italiane non possono applicare una pena a chi non è stato giudicato in un procedimento penale che rispetti l’art. 6 CEDU (equo processo).
Violazione dell’art. 7 CEDU.

Inoltre gli acquirenti non avevano potuto partecipare alla procedura che ha portato alla confiscam e le decisioni interne erano influenzate dal precedente processo penale e non hanno garantito un giusto equilibrio tra interesse pubblico e tutela dei diritti dei singoli.
Violazione dell’art. 1 Prot. n. 1 anche per loro.

 

Risarcimenti e restituzioni

La Corte ha condannato lo Stato italiano a Restituire i beni confiscati ai ricorrenti del primo gruppo e alla sig.ra Marsala (del secondo gruppo) e pagare  importi in danaro.

Principi affermati

La Corte ha ribadito che:

  1. la confisca urbanistica è una pena ai sensi dell’art. 7 CEDU;
  2. può essere legittima solo se deriva da un processo penale regolare;
  3. gli acquirenti in buona fede non possono subire la confisca senza essere stati parte del processo o senza accertamento della loro responsabilità;
  4. la proporzionalità tra l’interesse pubblico e la perdita di proprietà deve essere sempre motivata.

In sintesi, la CEDU ha riconosciuto che l’Italia ha violato i diritti fondamentali di proprietà e di giusto processo degli acquirenti e, in parte, dei proprietari originari, richiedendo la restituzione dei beni e un risarcimento.

 

Se hai un caso analogo possiamo assisterti innanzi alla CEDU

Impugnazioni penali e CEDU | Avv. Danilo Iacobacci

Impugnazioni: Appello, Cassazione, 625-bis, Revisione, CEDUAvvocato esperto | Danilo Iacobacci

Oltre il primo grado: le strade possibili

I percorsi di impugnazione nel penale sono diversi e complementari: Appello, Cassazione, ricorso straordinario ex art. 625-bis c.p.p., revisione, fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo nei casi previsti.

In una decisione recente:

  • la Corte ha annullato con rinvio su alcuni ruoli apicali e su un capo associativo;
  • ha rigettato gli altri ricorsi, confermando il resto;
  • ha affrontato temi di intercettazioni e lettura del linguaggio criptico;
  • ha preso posizione su aggravanti e profili sanzionatori.

Che cosa significa per chi ha un processo

  • Ogni grado hai regole e limiti propri: ciò che “serve” in Appello non coincide con ciò che rileva in Cassazione.
  • Esistono rimedi straordinari per situazioni specifiche.
  • In alcuni casi si può guardare anche al profilo convenzionale (CEDU).

Come lavoriamo

  • Tracciamo un percorso chiaro, spiegando pro e contro di ogni strada.

  • Manteniamo riservate le scelte tecniche: le condividiamo solo con il cliente.

FAQ

Cos’è il 625-bis c.p.p.?
È un rimedio straordinario per errore materiale o di fatto in Cassazione, in situazioni tipizzate dalla legge.

Quando ha senso la CEDU?
Quando si profilano violazioni convenzionali (per esempio, diritto a un equo processo o vita privata), secondo i criteri della Corte di Strasburgo.

contatti

Hai avuto una decisione sfavorevole? Valutiamo insieme che cosa fare adesso.

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Dosimetria, recidiva e attenuanti | Avv. Iacobacci

Recidiva specifica, attenuanti generiche, dosimetria

La misura della pena: una questione di motivazione

La quantificazione finale dipende da criteri legali e da una motivazione adeguata. In una decisione recente, la Corte ha affrontato recidiva e rideterminazioni sanzionatorie: ad esempio, è stata qualificata come specifica la recidiva in un caso, con pena rideterminata a 8 anni e 8 mesi.

Cose che i giudici guardano

  • Recidiva: non basta il certificato penale, va motivata la rilevanza concreta nel caso.
  • Attenuanti generiche (62-bis): la decisione valuta personalità, condotta processuale, contesto e parità di trattamento rispetto ad altri.

Un caso-guida in poche righe

La Cassazione ha ritenuto legittima la rideterminazione della pena quando la Corte d’appello ha motivato su precedenti, ruolo e quadro complessivo.

Come lavoriamo

  • Lettura ordinata dei passaggi sulla pena.
  • Condivisione chiara con il cliente delle leve legali previste dall’ordinamento.

FAQ

La recidiva aumenta sempre la pena?
Rileva la motivazione in concreto: i giudici spiegano perché incida nel caso specifico.

Le attenuanti generiche sono automatiche?
No: dipendono da una valutazione complessiva e comparativa.

contatti

Vuoi capire come è stata calcolata la tua pena? Possiamo analizzarla insieme.

Avvocato penalista esperto in Art. 73 d.P.R. 309/1990: reati-fine e condotte plurime

Avvocato penalista esperto in Art. 73 d.P.R. 309/1990: reati-fine e condotte plurime – Avv. Danilo Iacobacci

Quando gli episodi si moltiplicano (e perché)

L’art. 73 è un reato a più condotte tipiche: acquisto, trasporto, detenzione, cessione e offerta possono, se distinti per tempi, funzione e contesto, dare luogo a più capi d’imputazione. La Cassazione ha ribadito queste coordinate, importanti anche per la misura della pena.

Punti chiave

  • Rileva la differenza ontologica, cronologica, psicologica e funzionale tra le azioni.
  • In presenza di condotte realmente separate, non c’è un “unico episodio”.

Un caso-guida in poche righe

La Corte ha ricordato che la pluralità dei capi è legittima quando gli elementi dimostrano autonomia delle condotte rispetto alle altre.

Come lavoriamo

  • Esame lineare degli episodi contestati e del relativo inquadramento.
  • Chiarezza con il cliente sugli impatti sanzionatori.

FAQ

Perché in alcuni processi compaiono molti capi 73?
Perché le condotte possono essere autonome e quindi conteggiate separatamente.

Conta la distanza temporale?
Conta il complesso: tempi, funzione, contesto e finalità.

contatti

Hai più capi ex art. 73? Vediamo insieme come sono stati ricostruiti.

 

Ruoli apicali in associazione: criteri e decisioni | Avv. Iacobacci

Ruoli apicali (capo, promotore, organizzatore)

Chiedi un parere ad un penalista esperto in reati associativi | Avvocato Danilo Iacobacci

Ruoli di vertice: non basta “essersi occupati di affari”

La qualifica apicale richiede parametri stringenti: coordinamento, capacità propulsiva, riconoscibilità esterna del ruolo.

In una decisione recente, la Cassazione ha annullato con rinvio su qualifiche apicali quando la motivazione non era ritenuta sufficiente.

Elementi che pesano

  • Coordinamento effettivo e incidenza sulle scelte del gruppo.
  • Distinzione tra gestioni di fatto (es. “cassa di famiglia”) e ruolo di vertice del sodalizio.

Un caso-guida in poche righe

La Corte ha indicato che le etichette apicali devono poggiare su fatti e riscontri puntuali; in difetto, è stato disposto il rinvio per nuova valutazione.

Come lavoriamo

  • Ricostruzione chiara della posizione personale nel contesto.
  • Attenzione ai passaggi motivazionali che riguardano i ruoli attribuiti.

FAQ

Quando un ruolo diventa “apicale”?
Quando c’è coordinamento reale e funzione propulsiva riconoscibile dall’esterno.

Se la motivazione è generica, cosa accade?
La giurisprudenza ha disposto rinvii nei casi in cui la qualifica non fosse argomentata in modo adeguato.

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