Guida sui diritti delle persone detenute in Italia

Guida Dettagliata ai Diritti delle Persone Detenute in Italia

di Danilo Iacobacci cofondatore di De Stefano & Iacobacci Avvocati

1. Introduzione ai Diritti dei Detenuti in Italia

In Italia, i diritti delle persone detenute sono tutelati da una serie di norme giuridiche nazionali e internazionali, che mirano a garantire il rispetto della dignità umana e a favorire il reinserimento sociale dei detenuti.

La Costituzione italiana, in particolare l’articolo 27, stabilisce che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato e che non sono ammesse pene inumane o degradanti. Oltre alla Costituzione, esistono leggi specifiche come l’Ordinamento Penitenziario (Legge 354/1975) e la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che giocano un ruolo fondamentale nella tutela dei diritti dei detenuti.

2. Il Diritto alla Vita e all’Integrità Fisica

Uno dei diritti fondamentali dei detenuti è il diritto alla vita e all’integrità fisica. Questo diritto impone alle autorità penitenziarie di garantire condizioni di detenzione sicure e adeguate, prevenendo qualsiasi forma di violenza, abuso o maltrattamento.

L’uso della forza nei confronti dei detenuti è consentito solo in casi eccezionali e deve essere proporzionato alla situazione. Le norme internazionali e nazionali vietano l’uso della tortura e di trattamenti inumani o degradanti all’interno delle strutture detentive.

3. Il Diritto alla Salute

Il diritto alla salute è garantito ai detenuti attraverso l’accesso a cure mediche adeguate. Le autorità penitenziarie devono fornire assistenza sanitaria regolare, che includa visite mediche periodiche, accesso a specialisti quando necessario, e cure preventive.

I detenuti con malattie croniche o condizioni gravi devono ricevere cure specifiche, e in alcuni casi, se la struttura non può garantire tali cure, può essere concessa la detenzione domiciliare per motivi di salute. Inoltre, è garantito il diritto alla salute mentale, con servizi di supporto psicologico e psichiatrico disponibili per i detenuti.

4. Il Diritto all’Istruzione e alla Formazione Professionale

Il diritto all’istruzione è riconosciuto anche in ambito detentivo.

I detenuti hanno la possibilità di accedere a programmi educativi, dalla scuola primaria fino all’università, spesso grazie a convenzioni con istituti scolastici esterni. Inoltre, vengono organizzati corsi di formazione professionale per facilitare il reinserimento nel mondo del lavoro al termine della pena. Questi programmi sono fondamentali per il processo di rieducazione e per ridurre il rischio di recidiva.

5. Il Diritto alla Libertà di Religione

I detenuti hanno il diritto di professare liberamente la propria religione. Questo diritto include la possibilità di praticare il proprio culto, ricevere visite da ministri di culto e partecipare a cerimonie religiose.

Le autorità penitenziarie devono rispettare le esigenze religiose dei detenuti, ad esempio garantendo diete specifiche o concedendo tempo per la preghiera. In Italia, la libertà di religione è garantita a tutti i detenuti, indipendentemente dalla confessione religiosa.

6. Il Diritto alla Comunicazione e ai Rapporti con l’Esterno

Il diritto alla comunicazione con l’esterno è fondamentale per mantenere i legami affettivi e sociali dei detenuti. Questo diritto include la possibilità di ricevere visite, effettuare telefonate e scambiare corrispondenza con familiari, amici e avvocati.

Le visite sono regolate da norme che stabiliscono la frequenza e la durata, ma possono essere limitate in caso di motivi disciplinari o di sicurezza. Inoltre, i detenuti hanno il diritto di informarsi tramite giornali, riviste e altri mezzi di comunicazione.

7. Il Diritto alla Difesa e all’Accesso alla Giustizia

Il diritto alla difesa è garantito a tutti i detenuti, che hanno il diritto di essere assistiti da un avvocato in ogni fase del procedimento penale e durante la detenzione. I detenuti possono presentare ricorsi, denunce e istanze alle autorità giudiziarie, e hanno il diritto di essere informati sui procedimenti a loro carico.

L’accesso alla giustizia è un diritto fondamentale che include anche la possibilità di richiedere la revisione del processo in caso di nuove prove o di errori giudiziari.

8. Il Diritto al Trattamento Umanitario e al Rispetto della Dignità

Il trattamento umanitario e il rispetto della dignità dei detenuti sono principi fondamentali riconosciuti sia dalla normativa italiana che da quella internazionale. Questo significa che le condizioni di detenzione devono essere conformi agli standard minimi di umanità, evitando sovraffollamento, carenze igieniche, e condizioni di vita degradanti.

Le autorità penitenziarie sono responsabili di garantire un ambiente che rispetti la dignità umana, assicurando spazi adeguati, cibo sufficiente e condizioni igieniche adeguate.

9. Il Diritto al Lavoro

Il lavoro è un diritto e un dovere per i detenuti in Italia, e rappresenta uno strumento chiave per il loro reinserimento sociale. Le attività lavorative all’interno delle strutture penitenziarie includono lavori manuali, artigianali, e servizi interni. I detenuti che lavorano hanno diritto a una retribuzione, anche se ridotta rispetto a quella prevista per i lavoratori esterni, e possono contribuire al mantenimento della propria famiglia.

Il lavoro in carcere è visto non solo come un mezzo per guadagnare, ma anche come un’opportunità di formazione e crescita personale.

10. I Diritti delle Persone Detenute con Vulnerabilità Specifiche

Le persone detenute che appartengono a categorie particolarmente vulnerabili, come minorenni, donne, persone con disabilità, o stranieri, godono di specifiche tutele.

I minorenni, ad esempio, sono soggetti a un regime detentivo differente, orientato alla rieducazione e al reinserimento sociale, con accesso a programmi educativi e ricreativi specifici.

Le donne detenute, specialmente quelle con figli piccoli, hanno diritto a condizioni di detenzione che tengano conto delle esigenze di genere, come spazi dedicati e assistenza specifica.

Conclusione

La protezione dei diritti delle persone detenute è un elemento cruciale di un sistema penale giusto ed equo.

In Italia, la normativa prevede una serie di diritti volti a garantire il rispetto della dignità umana e a favorire il reinserimento sociale dei detenuti.

Tuttavia, la realizzazione effettiva di questi diritti dipende dalle condizioni concrete delle strutture penitenziarie e dall’impegno delle autorità competenti nel garantire il rispetto delle norme esistenti.

La sfida continua è assicurare che i diritti previsti sulla carta siano rispettati nella pratica quotidiana, per promuovere un sistema penale che rispetti la dignità e l’umanità di tutte le persone, anche di quelle private della libertà personale.

Se si un detenuto o un familiare di un detenuto ed hai la necessità di fare rispettare i diritti del detenuto in Italia innanzi all’ Autorità Giudiziaria oppure vuoi rivolgerti alla CEDU, contattaci o scrivi a avvocati@studiolegaledesia.com

Cos’è l’Art. 41-bis previsto dall’ordinamento penitenziario?

Cos’è l’Art. 41-bis previsto dall’ordinamento penitenziario?

di De Stefano & Iacobacci Avvocati

La norma si intitola Situazioni di emergenza perché in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il Ministro della giustizia ha facoltà di sospendere nell’istituto interessato o in parte di esso l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto.

Inoltre, quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del Ministro dell’interno, il Ministro della giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza nei confronti dei detenuti o internati per taluno dei delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitti di cui agli articoli 416-bis e 416-ter del codice penale, delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, delitti di cui agli articoli 600, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609-octies e 630 del codice penale, all’articolo 12, commi 1 e 3, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, all’articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all’articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309″, o comunque nei confronti dei detenuti per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva.

La sospensione comporta le restrizioni necessarie per il soddisfacimento delle predette esigenze e per impedire i collegamenti con l’associazione di cui al periodo precedente.

In questo caso il provvedimento è adottato con decreto motivato del Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell’interno, sentito l’ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice procedente e acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell’ambito delle rispettive competenze.

Il provvedimento medesimo ha durata pari a quattro anni ed è prorogabile nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni.

La proroga è disposta quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto anche del profilo criminale e della posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto.

Il mero decorso del tempo non costituisce, di per sè, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l’associazione o dimostrare il venir meno dell’operatività della stessa.

I detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all’interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell’istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria.

La sospensione delle regole di trattamento e degli istituti prevede:

l’adozione di misure di elevata sicurezza interna ed esterna, con riguardo principalmente alla necessità di prevenire contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento, contrasti con elementi di organizzazioni contrapposte, interazione con altri detenuti o internati appartenenti alla medesima organizzazione ovvero ad altre ad essa alleate;

la determinazione dei colloqui nel numero di uno al mese da svolgersi ad intervalli di tempo regolari ed in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti. Sono vietati i colloqui con persone diverse dai familiari e conviventi, salvo casi eccezionali determinati volta per volta dal direttore dell’istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall’autorità giudiziaria competente;

i colloqui vengono sottoposti a controllo auditivo ed a registrazione, previa motivata autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente, solo per coloro che non effettuano colloqui può essere autorizzato, con provvedimento motivato del direttore dell’istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall’autorità giudiziaria competente e solo dopo i primi sei mesi di applicazione, un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di dieci minuti sottoposto, comunque, a registrazione. I colloqui sono comunque videoregistrati. Le disposizioni della presente lettera non si applicano ai colloqui con i difensori con i quali potrà effettuarsi, fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari; (La Corte costituzionale, con sentenza 17-20 giugno 2013, n. 143, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma limitatamente alle parole «con i quali potrà effettuarsi, fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari».);

la limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno;

l’esclusione dalle rappresentanze dei detenuti e degli internati;

la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia;

la limitazione della permanenza all’aperto, che non può svolgersi in gruppi superiori a quattro persone, ad una durata non superiore a due ore al giorno fermo restando il limite minimo di cui al primo comma dell’articolo 10. Saranno inoltre adottate tutte le necessarie misure di sicurezza, anche attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti e cuocere cibi.

La Corte costituzionale, con sentenza 26 settembre-12 ottobre 2018, n. 186, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma limitatamente alle parole «e cuocere cibi». Analogamente la Corte costituzionale, con la sentenza del 22 maggio 2020, n. 97, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 41-bis nella parte in cui prevede l’adozione delle necessarie misure di sicurezza volte a garantire che sia assicurata «la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti» anziché «la assoluta impossibilità di comunicare e scambiare oggetti tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità».

Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, quale meccanismo nazionale di prevenzione (NPM) secondo il Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, fatto a New York il 18 dicembre 2002, ratificato e reso esecutivo ai sensi della legge 9 novembre 2012, n. 195, accede senza limitazione alcuna all’interno delle sezioni speciali degli istituti incontrando detenuti ed internati sottoposti al regime speciale di cui al presente articolo e svolge con essi colloqui visivi riservati senza limiti di tempo, non sottoposti a controllo auditivo o a videoregistrazione e non computati ai fini della limitazione dei colloqui personali.

Il detenuto o l’internato nei confronti del quale è stata disposta o prorogata l’applicazione del regime di 41-bs, ovvero il difensore, possono proporre reclamo avverso il procedimento applicativo. Il reclamo è presentato nel termine di venti giorni dalla comunicazione del provvedimento e su di esso è competente a decidere il tribunale di sorveglianza di Roma. Il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento.

Il tribunale, entro dieci giorni dal ricevimento del reclamo; decide in camera di consiglio sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento. All’udienza le funzioni di pubblico ministero possono essere altresì svolte da un rappresentante dell’ufficio del procuratore della Repubblica  che procede o del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.

Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, il procuratore che procede, il procuratore generale presso la corte d’appello, il detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni dalla sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale per violazione di legge. Il ricorso non sospende l’esecuzione del provvedimento ed è trasmesso senza ritardo alla Corte di cassazione. Se il reclamo viene accolto, il Ministro della giustizia, ove intenda disporre un nuovo provvedimento ai sensi dell’art. 41-bsi, tenendo conto della decisione del tribunale di sorveglianza, evidenziare elementi nuovi o non valutati in sede di reclamo.

Per la partecipazione del detenuto o dell’internato all’udienza si applicano restrizioni appositamente previste (le disposizioni di cui all’articolo 146-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271)

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