Il “danno da mancato commiato”: quando negare l’ultimo saluto diventa un illecito risarcibile

Il “danno da mancato commiato”: quando negare l’ultimo saluto diventa un illecito risarcibile

di Fabiola De Stefano | Avvocato Cassazionista

Il Tribunale di Novara (sentenza n. 357/2025 del 14 luglio) ha riconosciuto una nuova e delicata forma di lesione dei diritti della persona: il danno da mancato commiato.
Si tratta di una decisione che apre la strada a un’importante riflessione giuridica e umana: può costituire illecito civile il fatto di impedire a un familiare di salutare per l’ultima volta una persona cara.

Il contesto

Durante la pandemia da COVID-19 molte strutture sanitarie e residenziali (RSA) hanno vietato o limitato le visite dei familiari, in nome della tutela della salute pubblica. Tuttavia, il Tribunale ha chiarito che anche in simili situazioni il potere discrezionale delle strutture deve essere esercitato nel rispetto dei diritti fondamentali, e ogni restrizione va valutata alla luce dei principi di proporzionalità e ragionevolezza.

Il caso deciso

Nel caso esaminato, un familiare non aveva potuto accedere alla struttura per dare l’ultimo saluto a un congiunto in fin di vita. Il giudice ha ritenuto che la struttura avesse agito in modo ingiustificatamente rigido, senza valutare alternative idonee a garantire un contatto umano (anche breve o protetto), e ha quindi riconosciuto la responsabilità extracontrattuale della struttura per il pregiudizio arrecato.

Un danno non patrimoniale “esistenziale”

Il cosiddetto danno da mancato commiato incide sulla sfera più intima e relazionale della persona, privandola di un momento fondamentale di vicinanza, affetto e congedo.
È un danno non patrimoniale, da liquidare equitativamente, tenendo conto dell’intensità del legame affettivo, delle circostanze e dell’effettiva possibilità di prevedere e prevenire la lesione.

Il valore umano e giuridico della decisione

La sentenza sottolinea che la dignità della persona e il diritto ai legami familiari non possono essere completamente sacrificati neppure in situazioni di emergenza. Le strutture sanitarie sono tenute a bilanciare la sicurezza con la tutela dell’umanità e del rispetto del dolore altrui, garantendo – ove possibile – forme di contatto, anche simbolico.

Cosa cambia

Il riconoscimento del danno da mancato commiato apre a nuove prospettive per i familiari che si vedono negare arbitrariamente il diritto all’ultimo saluto, e per le strutture sanitarie e assistenziali, chiamate a rivedere i propri protocolli interni alla luce della responsabilità civile e dei diritti fondamentali.

 

Studio Legale De Stefano & Iacobacci  segue con attenzione l’evoluzione della giurisprudenza in materia di responsabilità civile e tutela della persona.
Per una consulenza su casi di danno morale o relazionale causato da condotte sanitarie o amministrative, puoi contattarci direttamente tramite il sito www.studiolegaledesia.com.

sentenza Petruzzo e altri c. Italia (CEDU, 9 ottobre 2025)

Di seguito una sintesi chiara e completa in italiano della sentenza Petruzzo e altri c. Italia (CEDU, 9 ottobre 2025)

Oggetto del caso

La causa riguarda due gruppi di cittadini italiani che si sono visti confiscare terreni e fabbricati perché le autorità li avevano considerati frutto di lottizzazione abusiva.

Il primo gruppo comprendeva i proprietari originari dei terreni (97.000 m²), sui quali avevano costruito due edifici su meno di 300 m²; il secondo gruppo era composto dagli acquirenti di alcuni appartamenti costruiti su quei terreni.

La decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo

La Corte ha deciso all’unanimità che: non vi è stata violazione dell’art. 7 CEDU (“nessuna pena senza legge”) per il primo gruppo di proprietari originari; vi è stata violazione dell’art. 7 CEDU per il secondo gruppo di acquirenti; vi è stata violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 (diritto di proprietà) per tutti i ricorrenti.

Per il primo gruppo (proprietari originari)

La Corte ha ritenuto che: le norme italiane sulla lottizzazione abusiva erano sufficientemente chiare e prevedibili; i proprietari sapevano o avrebbero dovuto sapere che il terreno era soggetto a vincoli edilizi (“zone bianche”) e che la costruzione violava il piano urbanistico; la confisca è stata disposta dopo un accertamento dei fatti e una sentenza che aveva riconosciuto la sussistenza del reato, anche se estinto per prescrizione.
→ Pertanto nessuna violazione dell’art. 7.

 

Tuttavia, la Corte ha rilevato che la confisca di tutti i 97.000 m² era sproporzionata, poiché gli edifici abusivi occupavano meno di 300 m².
Violazione dell’art. 1 Prot. n. 1 (proprietà) per eccesso e mancanza di proporzionalità.

 

Per il secondo gruppo (acquirenti degli appartamenti)

La Corte ha stabilito che gli acquirenti non erano stati parte del processo penale, né formalmente accusati.

La confisca dei loro beni era quindi una “pena” imposta senza processo, in violazione delle garanzie fondamentali.

Le autorità italiane non possono applicare una pena a chi non è stato giudicato in un procedimento penale che rispetti l’art. 6 CEDU (equo processo).
Violazione dell’art. 7 CEDU.

Inoltre gli acquirenti non avevano potuto partecipare alla procedura che ha portato alla confiscam e le decisioni interne erano influenzate dal precedente processo penale e non hanno garantito un giusto equilibrio tra interesse pubblico e tutela dei diritti dei singoli.
Violazione dell’art. 1 Prot. n. 1 anche per loro.

 

Risarcimenti e restituzioni

La Corte ha condannato lo Stato italiano a Restituire i beni confiscati ai ricorrenti del primo gruppo e alla sig.ra Marsala (del secondo gruppo) e pagare  importi in danaro.

Principi affermati

La Corte ha ribadito che:

  1. la confisca urbanistica è una pena ai sensi dell’art. 7 CEDU;
  2. può essere legittima solo se deriva da un processo penale regolare;
  3. gli acquirenti in buona fede non possono subire la confisca senza essere stati parte del processo o senza accertamento della loro responsabilità;
  4. la proporzionalità tra l’interesse pubblico e la perdita di proprietà deve essere sempre motivata.

In sintesi, la CEDU ha riconosciuto che l’Italia ha violato i diritti fondamentali di proprietà e di giusto processo degli acquirenti e, in parte, dei proprietari originari, richiedendo la restituzione dei beni e un risarcimento.

 

Se hai un caso analogo possiamo assisterti innanzi alla CEDU

Impugnazioni penali e CEDU | Avv. Danilo Iacobacci

Impugnazioni: Appello, Cassazione, 625-bis, Revisione, CEDUAvvocato esperto | Danilo Iacobacci

Oltre il primo grado: le strade possibili

I percorsi di impugnazione nel penale sono diversi e complementari: Appello, Cassazione, ricorso straordinario ex art. 625-bis c.p.p., revisione, fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo nei casi previsti.

In una decisione recente:

  • la Corte ha annullato con rinvio su alcuni ruoli apicali e su un capo associativo;
  • ha rigettato gli altri ricorsi, confermando il resto;
  • ha affrontato temi di intercettazioni e lettura del linguaggio criptico;
  • ha preso posizione su aggravanti e profili sanzionatori.

Che cosa significa per chi ha un processo

  • Ogni grado hai regole e limiti propri: ciò che “serve” in Appello non coincide con ciò che rileva in Cassazione.
  • Esistono rimedi straordinari per situazioni specifiche.
  • In alcuni casi si può guardare anche al profilo convenzionale (CEDU).

Come lavoriamo

  • Tracciamo un percorso chiaro, spiegando pro e contro di ogni strada.

  • Manteniamo riservate le scelte tecniche: le condividiamo solo con il cliente.

FAQ

Cos’è il 625-bis c.p.p.?
È un rimedio straordinario per errore materiale o di fatto in Cassazione, in situazioni tipizzate dalla legge.

Quando ha senso la CEDU?
Quando si profilano violazioni convenzionali (per esempio, diritto a un equo processo o vita privata), secondo i criteri della Corte di Strasburgo.

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Hai avuto una decisione sfavorevole? Valutiamo insieme che cosa fare adesso.

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Dosimetria, recidiva e attenuanti | Avv. Iacobacci

Recidiva specifica, attenuanti generiche, dosimetria

La misura della pena: una questione di motivazione

La quantificazione finale dipende da criteri legali e da una motivazione adeguata. In una decisione recente, la Corte ha affrontato recidiva e rideterminazioni sanzionatorie: ad esempio, è stata qualificata come specifica la recidiva in un caso, con pena rideterminata a 8 anni e 8 mesi.

Cose che i giudici guardano

  • Recidiva: non basta il certificato penale, va motivata la rilevanza concreta nel caso.
  • Attenuanti generiche (62-bis): la decisione valuta personalità, condotta processuale, contesto e parità di trattamento rispetto ad altri.

Un caso-guida in poche righe

La Cassazione ha ritenuto legittima la rideterminazione della pena quando la Corte d’appello ha motivato su precedenti, ruolo e quadro complessivo.

Come lavoriamo

  • Lettura ordinata dei passaggi sulla pena.
  • Condivisione chiara con il cliente delle leve legali previste dall’ordinamento.

FAQ

La recidiva aumenta sempre la pena?
Rileva la motivazione in concreto: i giudici spiegano perché incida nel caso specifico.

Le attenuanti generiche sono automatiche?
No: dipendono da una valutazione complessiva e comparativa.

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Vuoi capire come è stata calcolata la tua pena? Possiamo analizzarla insieme.

Avvocato penalista esperto in Art. 73 d.P.R. 309/1990: reati-fine e condotte plurime

Avvocato penalista esperto in Art. 73 d.P.R. 309/1990: reati-fine e condotte plurime – Avv. Danilo Iacobacci

Quando gli episodi si moltiplicano (e perché)

L’art. 73 è un reato a più condotte tipiche: acquisto, trasporto, detenzione, cessione e offerta possono, se distinti per tempi, funzione e contesto, dare luogo a più capi d’imputazione. La Cassazione ha ribadito queste coordinate, importanti anche per la misura della pena.

Punti chiave

  • Rileva la differenza ontologica, cronologica, psicologica e funzionale tra le azioni.
  • In presenza di condotte realmente separate, non c’è un “unico episodio”.

Un caso-guida in poche righe

La Corte ha ricordato che la pluralità dei capi è legittima quando gli elementi dimostrano autonomia delle condotte rispetto alle altre.

Come lavoriamo

  • Esame lineare degli episodi contestati e del relativo inquadramento.
  • Chiarezza con il cliente sugli impatti sanzionatori.

FAQ

Perché in alcuni processi compaiono molti capi 73?
Perché le condotte possono essere autonome e quindi conteggiate separatamente.

Conta la distanza temporale?
Conta il complesso: tempi, funzione, contesto e finalità.

contatti

Hai più capi ex art. 73? Vediamo insieme come sono stati ricostruiti.

 

Ruoli apicali in associazione: criteri e decisioni | Avv. Iacobacci

Ruoli apicali (capo, promotore, organizzatore)

Chiedi un parere ad un penalista esperto in reati associativi | Avvocato Danilo Iacobacci

Ruoli di vertice: non basta “essersi occupati di affari”

La qualifica apicale richiede parametri stringenti: coordinamento, capacità propulsiva, riconoscibilità esterna del ruolo.

In una decisione recente, la Cassazione ha annullato con rinvio su qualifiche apicali quando la motivazione non era ritenuta sufficiente.

Elementi che pesano

  • Coordinamento effettivo e incidenza sulle scelte del gruppo.
  • Distinzione tra gestioni di fatto (es. “cassa di famiglia”) e ruolo di vertice del sodalizio.

Un caso-guida in poche righe

La Corte ha indicato che le etichette apicali devono poggiare su fatti e riscontri puntuali; in difetto, è stato disposto il rinvio per nuova valutazione.

Come lavoriamo

  • Ricostruzione chiara della posizione personale nel contesto.
  • Attenzione ai passaggi motivazionali che riguardano i ruoli attribuiti.

FAQ

Quando un ruolo diventa “apicale”?
Quando c’è coordinamento reale e funzione propulsiva riconoscibile dall’esterno.

Se la motivazione è generica, cosa accade?
La giurisprudenza ha disposto rinvii nei casi in cui la qualifica non fosse argomentata in modo adeguato.

contatti

Ti hanno attribuito un “ruolo di vertice”? Valutiamo insieme atti e motivazioni.

Intercettazioni & digitale forense (SkyECC / Ordine Europeo d’Indagine) | Avvocato penalista esperto

Intercettazioni & digitale forense (SkyECC / Ordine Europeo d’Indagine)

Avv. Danilo Iacobacci (penalista esperto in prove digitali)

Intercettazioni criptate e scambi di dati esteri: cosa sapere

Nei processi complessi, le comunicazioni cifrate e i trasferimenti di dati dall’estero (OEI) sono frequenti. In una decisione recente, la Cassazione ha confermato l’utilizzabilità delle captazioni SkyECC acquisite via cooperazione giudiziaria, richiamando la centralità della motivazione logica del giudice di merito e del contesto probatorio in cui le conversazioni s’inseriscono.

Temi ricorrenti

  • Conversazioni tra terzi & linguaggio criptico: contano coerenza e lettura d’insieme; in legittimità si guarda alla razionalità del percorso argomentativo.
  • Origine estera dei dati: rilievo dell’Ordine europeo d’indagine e della documentazione allegata.

Un caso-guida in poche righe

La Suprema Corte ha ritenuto sufficiente la cornice motivazionale che spiegava perché quelle conversazioni, pur sintetiche o criptiche, fossero significative nel quadro accusatorio.

Come lavoriamo 

  • Analisi chiara degli atti disponibili.
  • Inquadramento della provenienza dei dati e delle verifiche documentali.
  • Indicazione del percorso processuale più adatto al caso.

FAQ

Le chat cifrate “valgono” sempre?
Dipende dal contesto e dalla motivazione: i giudici valutano coerenza e riscontri complessivi.

I dati esteri sono automaticamente utilizzabili?
Occorre che l’acquisizione segua canali formali idonei (es. OEI) e che gli atti diano conto del quadro.

Contatti

Hai ricevuto atti con chat cifrate o dossier esteri? Parliamone in modo riservato.

Avv. Danilo Iacobacci (penalista esperto in prove digitali)

Associazione per narcotraffico (art. 74 d.P.R. 309/1990) | Avvocato penalista esperto

Avvocato penalista esperto in Associazione per narcotraffico (art. 74 d.P.R. 309/1990)

Avv. Danilo Iacobacci – Penalista cassazionista e CEDU – Difesa in procedimenti complessi su stupefacenti e reati associativi, in ogni fase: merito, Appello, Cassazione, ricorsi straordinari e Corte EDU.

Di cosa parliamo quando parliamo di “associazione” ex art. 74

Il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti richiede l’accertamento di un vincolo stabile tra più persone, orientato all’approvvigionamento e alla cessione di droga.

Nei giudizi recenti la Corte di Cassazione ha confermato che la ricostruzione dei ruoli e delle responsabilità deve poggiare su elementi coerenti e individualmente riferibili ai singoli imputati, distinguendo tra partecipazione, funzioni di vertice e reati-fine. In una decisione di riferimento, ad esempio, la Cassazione ha annullato con rinvio la qualifica apicale (capo/promotore) per alcuni imputati e ha rigettato altri ricorsi, confermando partecipazioni e capi connessi.

Temi che spesso fanno la differenza nel processo

  • Ruoli apicali (capo, promotore, organizzatore).
    Non è sufficiente “essersi occupati di affari”: il ruolo di vertice richiede parametri precisi e una motivazione puntuale. La Suprema Corte ha ricordato che la qualifica apicale esige un vaglio rigoroso, tanto da disporre rinvii quando l’argomentazione non è all’altezza.
  • Natura “armata” del gruppo.
    Il tema non si esaurisce nel possesso individuale di un’arma: ciò che rileva è la disponibilità funzionale al sodalizio, valutata nel contesto degli atti e delle conversazioni richiamate dai giudici.
  • Numero dei partecipi.
    La Corte considera come e quanto la struttura sia percepita dai singoli, non un semplice dato aritmetico, evitando generalizzazioni.
  • Intercettazioni e comunicazioni “criptiche”.
    Il linguaggio allusivo o specialistico viene valutato nel suo complesso, con controlli sulla coerenza logica del quadro. In sede di legittimità la verifica è centrata sulla razionalità della motivazione dei giudici di merito.
  • Reati-fine e art. 73 come “reato a più condotte tipiche”.
    Acquisto, trasporto, detenzione, cessione e offerta possono integrare episodi distinti quando realmente separati per tempi, funzioni e contesto; la Cassazione ha ribadito questo approccio, che incide anche sui conteggi sanzionatori.

Un caso-guida recente (in poche righe)

In una pronuncia della I Sezione penale, la Cassazione ha:

  • annullato con rinvio la qualifica di capi/promotori per quattro imputati e, per un altro, su uno specifico capo associativo;
  • rigettato gli altri ricorsi, confermando responsabilità per partecipazione e alcuni reati-fine;
  • valorizzato una motivazione articolata sulla natura armata alla luce di conversazioni e riscontri;
  • ricordato i criteri con cui leggere il linguaggio criptico e i profili di pluralità delle condotte ex art. 73;
  • in un caso, ha preso posizione anche su recidiva specifica e conseguente determinazione della pena.

Facci studiare il Tuo Caso, avrai una fotografia di come i massimi giudici ragionano oggi su temi che possono toccare la vita delle persone.

Come lavoriamo 

  • Ascolto del caso e ricostruzione chiara dei fatti.
  • Valutazione dei profili giuridici più sensibili (ruoli, contestazioni, atti tecnici).
  • Scelta del percorso processuale adeguato (merito, impugnazioni, eventuali profili convenzionali).
  • Assistenza continuativa fino agli esiti definitivi, inclusa la dimensione sovranazionale (CEDU) quando rilevante.

Domande frequenti

Se nell’accusa compaiono armi, è automatico che l’associazione sia “armata”?
No: i giudici valutano funzione e disponibilità delle armi rispetto al gruppo, non il semplice possesso individuale.

Come vengono inquadrati i ruoli di vertice?
La qualifica apicale richiede criteri stringenti e una motivazione adeguata; in mancanza, la giurisprudenza ha disposto rinvii per nuova valutazione.

Perché vedo tanti “capi” di art. 73 nello stesso processo?
Perché l’art. 73 comprende più condotte: se sono davvero distinte per tempi e funzioni, possono essere considerate episodi separati.

Le conversazioni “in codice” contano?
Sì, ma contano per come risultano nel quadro complessivo e per la coerenza della motivazione dei giudici.

Perché scegliere l’Avv. Danilo Iacobacci

  • Esperienza nei processi complessi su stupefacenti e strutture associative.
  • Presenza in Appello e Cassazione, con ricorsi straordinari e, quando serve, tutela a Strasburgo.
  • Approccio riservato: le soluzioni si condividono solo con il cliente, in modo completo e trasparente.

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Recidiva, attenuanti generiche, dosimetria – FAQ

Recidiva, attenuanti generiche, dosimetria – FAQ

La recidiva si applica in automatico?
No: i giudici motivano sulla sua incidenza concreta nel caso.

Le attenuanti generiche (art. 62-bis) vengono concesse sempre?
No: dipendono da una valutazione complessiva della persona e dei fatti.

Si può rideterminare la pena in appello?
Sì, quando l’assetto dei fatti o delle circostanze lo giustifica; in un caso recente è stata confermata una rideterminazione con indicazione puntuale dei criteri.

Art. 73: reati-fine e condotte plurime – FAQ

Art. 73: reati-fine e condotte plurime – FAQ

Perché lo stesso articolo può essere contestato in più capi?
Perché l’art. 73 comprende più condotte e, se davvero distinte per tempo e funzione, possono diventare episodi autonomi.

Che cosa valutano i giudici per dire che gli episodi sono separati?
Differenza ontologica, cronologica, psicologica e funzionale tra le azioni.

Questo influisce sulla pena?
Sì, perché più episodi possono incidere sul calcolo complessivo.

Chiamaci!