🗣️ Libertà di protesta e repressione statale: la CEDU condanna le violenze delle autorità

🗣️ Libertà di protesta e repressione statale: la CEDU condanna le violenze delle autorità


🚨 Protestare pacificamente è un diritto fondamentale

Con una recente decisione di grande impatto, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato uno Stato membro per l’uso sproporzionato della forza contro manifestanti pacifici, riconoscendo la violazione di più articoli della Convenzione.

La vicenda riguarda la repressione violenta di una protesta politica, culminata in percosse, arresti arbitrari e limitazioni illegittime della libertà di espressione.


⚖️ Gli articoli violati: 3, 10 e 11 CEDU

La Corte ha accertato:

❌ Articolo 3 CEDU

Divieto di trattamenti inumani o degradanti, per le violenze fisiche subite e l’assenza di indagini efficaci.

❌ Articolo 10 CEDU

Violazione della libertà di espressione, colpendo manifestanti e giornalisti.

❌ Articolo 11 CEDU

Compressione illegittima della libertà di riunione e di assemblea pacifica.


📣 Un principio chiave ribadito dalla Corte

La CEDU ha ricordato che:

“La libertà di manifestare pacificamente costituisce uno dei pilastri di una società democratica.”

L’uso della forza da parte dello Stato è ammesso solo come extrema ratio e deve essere sempre:

  • necessario

  • proporzionato

  • giustificato


🇮🇹 Perché questa sentenza riguarda anche l’Italia

Sebbene il caso non riguardi direttamente l’Italia, i principi affermati sono vincolanti per tutti gli Stati aderenti alla Convenzione.

Questa giurisprudenza è rilevante per:

  • manifestazioni represse con eccesso di forza

  • identificazioni di massa e arresti preventivi

  • denunce archiviate senza indagini effettive


📄 Ricorso CEDU: una tutela concreta contro gli abusi

Quando i rimedi interni non funzionano, la Corte di Strasburgo rappresenta l’ultima difesa dei diritti fondamentali.

Il nostro studio segue con attenzione l’evoluzione della giurisprudenza CEDU e offre assistenza mirata per:

Nuova sentenza CEDU contro l’Italia: quando lo Stato viola il diritto alla vita

Nuova sentenza CEDU contro l’Italia: quando lo Stato viola il diritto alla vita

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo richiama l’Italia

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha recentemente pronunciato una sentenza di grande rilievo nei confronti dell’Italia, accertando la violazione dell’articolo 2 della Convenzione, che tutela il diritto alla vita.

Secondo i giudici di Strasburgo, lo Stato italiano non ha garantito un’indagine effettiva, seria e approfondita in relazione a un decesso avvenuto in circostanze che richiedevano un accertamento rigoroso delle responsabilità.

Cosa si intende per “indagine effettiva” secondo la CEDU

La giurisprudenza CEDU è costante nel ritenere che, quando una persona muore in circostanze sospette o potenzialmente imputabili a responsabilità statali, non basta l’apertura formale di un procedimento.

L’indagine deve essere:

  • tempestiva

  • indipendente

  • approfondita

  • capace di individuare eventuali responsabili

Nel caso esaminato, la Corte ha ritenuto che le autorità italiane abbiano omesso accertamenti decisivi, compromettendo il diritto dei familiari a conoscere la verità.

Perché questa sentenza è importante anche per i cittadini italiani

Questa pronuncia conferma un principio fondamentale:
lo Stato risponde non solo quando causa direttamente un danno, ma anche quando non indaga adeguatamente su di esso.

La sentenza è particolarmente rilevante per:

  • familiari di vittime di decessi sospetti

  • casi di morte in carcere o sotto custodia statale

  • procedimenti archiviati senza indagini approfondite

Quando è possibile ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

È possibile valutare un ricorso alla CEDU quando:

  • i giudici italiani hanno archiviato il caso senza un serio accertamento

  • il procedimento è stato irragionevolmente lungo o inefficace

  • non esistono più rimedi interni effettivi

Ogni caso va analizzato con attenzione, alla luce della giurisprudenza di Strasburgo.

Assistenza legale nei ricorsi CEDU

Il nostro studio assiste cittadini e imprese nella predisposizione di ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con particolare attenzione alle violazioni degli articoli 2, 6 e 13 CEDU.

Avvocato Danilo Iacobacci: penalista esperto in ricorsi per Cassazione e CEDU nei procedimenti SKY ECC

Avvocato Danilo Iacobacci: penalista esperto in ricorsi per Cassazione e CEDU nei procedimenti SKY ECC

Nel panorama del diritto penale contemporaneo, uno dei temi più complessi e controversi è rappresentato dai procedimenti fondati sulle comunicazioni SKY ECC, utilizzate in migliaia di indagini penali per reati di criminalità organizzata, traffico di stupefacenti e associazioni transnazionali.

In questo contesto altamente specialistico si colloca l’attività dell’Avvocato Danilo Iacobacci, avvocato penalista cassazionista, riconosciuto per la sua competenza avanzata nei ricorsi per Cassazione e nei ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) proprio in materia di SKY ECC.

SKY ECC: perché è una delle questioni penali più delicate in Europa

Le indagini basate su SKY ECC derivano da un sistema di comunicazione criptata dismesso nel 2021, i cui dati sono stati acquisiti tramite operazioni investigative transnazionali.
Il loro utilizzo processuale solleva questioni giuridiche di enorme rilevanza, tra cui:

  • legittimità dell’acquisizione dei dati;
  • violazione del diritto alla difesa;
  • assenza di controllo giurisdizionale preventivo;
  • inutilizzabilità delle prove;
  • violazione degli articoli 6, 8 e 13 CEDU.

Sono proprio questi profili ad aver reso la materia centrale nei ricorsi per Cassazione e nei ricorsi CEDU.

Avvocato Danilo Iacobacci: penalista con competenza specifica nei casi SKY ECC

L’Avv. Danilo Iacobacci opera da anni come penalista esperto in procedimenti complessi, con una specializzazione concreta nei processi fondati su:

  • intercettazioni criptate;
  • cooperazione giudiziaria internazionale;
  • prove digitali e informatiche;
  • violazioni convenzionali.

Nei procedimenti SKY ECC, la sua attività difensiva si distingue per un approccio tecnico, strategico e multilivello, che integra diritto penale interno, diritto dell’Unione Europea e Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Ricorsi per Cassazione nei procedimenti SKY ECC

L’Avvocato Iacobacci è particolarmente attivo nei ricorsi per Cassazione relativi a processi SKY ECC, con censure che riguardano:

  • motivazione apparente o illogica delle sentenze di merito;
  • travisamento della prova digitale;
  • violazione degli artt. 191, 234, 266 c.p.p.;
  • mancata verifica della catena di acquisizione dei dati;
  • uso di prove provenienti da Stati esteri in assenza di garanzie equivalenti.

La sua difesa è orientata a far emergere le criticità strutturali dell’impianto accusatorio, spesso fondato esclusivamente su chat criptate decontestualizzate.

Ricorsi CEDU in materia SKY ECC: un ambito di eccellenza

Uno dei profili che distingue l’Avvocato Danilo Iacobacci è la competenza specifica nei ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) in materia SKY ECC.

I ricorsi CEDU predisposti si fondano, tra l’altro, su:

  • violazione dell’art. 6 CEDU (giusto processo);
  • violazione dell’art. 8 CEDU (vita privata e segretezza delle comunicazioni);
  • violazione dell’art. 13 CEDU (assenza di rimedi effettivi);
  • utilizzo di prove ottenute senza base legale accessibile e prevedibile.

Questi ricorsi mirano non solo alla tutela del singolo imputato, ma anche a evidenziare criticità sistemiche dell’ordinamento italiano nell’uso delle prove SKY ECC.

Perché scegliere l’Avvocato Danilo Iacobacci nei casi SKY ECC

Affidarsi all’Avv. Danilo Iacobacci significa scegliere un penalista altamente specializzato, capace di:

  • analizzare integralmente il fascicolo digitale;
  • individuare vizi processuali e convenzionali;
  • costruire una strategia difensiva in Cassazione e davanti alla CEDU;
  • affrontare procedimenti ad alto impatto sanzionatorio e mediatico.

La sua esperienza nei ricorsi SKY ECC lo rende un punto di riferimento per chi cerca una difesa tecnica, rigorosa e orientata alla tutela dei diritti fondamentali.

Avvocato penalista SKY ECC: Cassazione e CEDU

Chi è coinvolto in un procedimento penale fondato su SKY ECC necessita di un avvocato penalista esperto, in grado di muoversi con competenza tra giudizi di legittimità e giurisdizione europea.

L’Avvocato Danilo Iacobacci rappresenta oggi una delle figure più qualificate in Italia per la difesa nei procedimenti SKY ECC, sia davanti alla Corte di Cassazione sia dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

 

Sanzioni INPS e UNIEMENS: il Tribunale di Avellino annulla le ordinanze

Sanzioni INPS e UNIEMENS: il Tribunale di Avellino annulla le ordinanze

Una sentenza che conferma l’esperienza dell’avvocato Fabiola De Stefano

Con la sentenza n. 1285 del 2025, depositata il 18 novembre 2025, il Tribunale di Avellino – Sezione Lavoro ha accolto l’opposizione proposta contro l’INPS, annullando due ordinanze-ingiunzione relative a sanzioni per omesso versamento di ritenute contributive connesse alle denunce UNIEMENS.

La decisione riveste particolare importanza nel contenzioso previdenziale perché affronta, con rigore sistematico, il tema della decadenza del potere sanzionatorio dell’INPS dopo la depenalizzazione introdotta dal D.Lgs. n. 8/2016, recependo in modo puntuale le tesi difensive sviluppate dall’Avv. Fabiola De Stefano, da anni riconosciuta come una delle professioniste più esperte in materia di UNIEMENS e sanzioni contributive.

Opposizione a sanzioni INPS: quando il termine è decaduto

Il Giudice del Lavoro ha ritenuto fondata l’opposizione, chiarendo che anche per le sanzioni amministrative derivanti da fatti originariamente penalmente rilevanti si applicano:

  • l’art. 14 della legge n. 689/1981;
  • l’art. 9 del D.Lgs. n. 8/2016, da interpretare come norma decadenziale;
  • i principi costituzionali di legalità, certezza del diritto e tutela del diritto di difesa.

Il Tribunale ha escluso che l’inerzia dell’autorità giudiziaria o dell’INPS possa tradursi in un danno per il contribuente, affermando che la potestà sanzionatoria deve essere esercitata entro termini certi e predeterminati.

Questa impostazione ricalca esattamente la linea difensiva sostenuta dall’Avv. Fabiola De Stefano, fondata sulla necessità di contenere nel tempo l’azione amministrativa e di evitare che l’incertezza si protragga indefinitamente a carico del datore di lavoro.

UNIEMENS e decorrenza dei termini: la ricostruzione accolta dal Tribunale

Uno dei passaggi più rilevanti della sentenza riguarda l’individuazione del dies a quo per il decorso del termine decadenziale.

Il Tribunale ha chiarito che:

  • in assenza di trasmissione degli atti dall’autorità giudiziaria all’INPS;
  • e a seguito della depenalizzazione del 6 febbraio 2016;

il termine di 90 giorni per la contestazione deve decorrere da quando l’INPS avrebbe potuto attivarsi autonomamente, senza attendere ulteriori impulsi esterni.

Inoltre, il Giudice ha accolto la tesi secondo cui il tempo “ragionevole” per l’accertamento non può essere rimesso a valutazioni discrezionali dell’ente, ma va ancorato a parametri normativi certi, individuando nello spatium deliberandi di 120 giorni ex art. 7 l. 533/1970 il termine massimo per completare l’accertamento.

Superato tale limite, la successiva notifica delle sanzioni risulta tardiva e illegittima, come avvenuto nel caso esaminato.

Annullamento delle ordinanze INPS: confermata la linea difensiva

Applicando questi principi, il Tribunale di Avellino ha ritenuto che:

  • per le annualità contestate (2019–2020);
  • l’INPS avesse oltrepassato sia il termine di accertamento sia quello di contestazione;
  • senza fornire alcuna giustificazione concreta per il ritardo.

Ne è conseguito l’annullamento integrale delle ordinanze-ingiunzione opposte, con compensazione delle spese per la novità della questione trattata.

Si tratta di un risultato di grande rilievo pratico per aziende e professionisti, poiché consolida un orientamento difensivo che consente di contrastare efficacemente le sanzioni INPS fondate su accertamenti tardivi in materia UNIEMENS.

Avvocato esperto in UNIEMENS e sanzioni INPS: il valore della specializzazione

Questa sentenza rappresenta un’ulteriore conferma delle doti professionali dell’Avv. Fabiola De Stefano, avvocato con una specifica e riconosciuta esperienza nel contenzioso previdenziale, in particolare:

  • opposizioni a ordinanze-ingiunzione INPS;
  • sanzioni per omesso o tardivo UNIEMENS;
  • applicazione dei termini decadenziali dopo la depenalizzazione;
  • difesa dei datori di lavoro davanti al Giudice del Lavoro.

La capacità di costruire una difesa tecnica solida, fondata su giurisprudenza di legittimità e costituzionale, e di ottenerne il pieno recepimento in sentenza, dimostra come la specializzazione in materia UNIEMENS rappresenti oggi un fattore decisivo per la tutela delle imprese.

Cassazione penale: la sentenza n. 35667/2025 accoglie le tesi della parte civile

Cassazione penale: la sentenza n. 35667/2025 accoglie le tesi della parte civile

Un risultato che conferma l’esperienza dell’avvocato penalista cassazionista

Con la sentenza n. 35667 del 2025, la Corte di Cassazione – Sezione VI Penale ha rigettato integralmente il ricorso dell’imputato, confermando la condanna per il delitto di maltrattamenti aggravati in ambito familiare.

La pronuncia assume particolare rilievo non solo per i principi giuridici ribaditi in tema di violenza domestica, ma soprattutto perché la Suprema Corte ha fatto proprie le argomentazioni sostenute dal difensore della parte civile, recependole in modo puntuale nella motivazione.

Un esito che evidenzia, in modo concreto, le competenze di un avvocato penalista cassazionista esperto, capace di incidere efficacemente anche nel giudizio di legittimità.

Il rigetto del ricorso in Cassazione: confermata la solidità della difesa della parte civile

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, rilevando come i motivi proposti mirassero, in realtà, a una nuova valutazione del merito, non consentita in sede di legittimità.

In particolare, la Corte ha ribadito principi consolidati della giurisprudenza penale di Cassazione, tra cui:

  • la piena utilizzabilità della testimonianza della persona offesa, anche in assenza di riscontri esterni;
  • la non sindacabilità in Cassazione delle valutazioni di credibilità del giudice di merito, se sorrette da motivazione logica e coerente;
  • l’irrilevanza, ai fini dell’attendibilità, di comportamenti come il ritardo nella denuncia o i tentativi di riavvicinamento alla persona maltrattante.

Si tratta di affermazioni che riproducono fedelmente le tesi difensive della parte civile, sostenute con rigore tecnico e giuridico già nelle fasi precedenti del giudizio.

Violenza domestica e “ciclo della violenza”: la Cassazione recepisce le tesi della parte civile

Uno dei passaggi più significativi della sentenza riguarda il riconoscimento del “ciclo della violenza” come massima di esperienza giuridicamente rilevante.

La Corte ha spiegato come la violenza nelle relazioni intime si sviluppi secondo fasi ricorrenti:

  • escalation della tensione;
  • violenza psicologica e fisica;
  • riappacificazione apparente (cosiddetta “luna di miele”);
  • ripetizione e aggravamento delle condotte.

Questo modello interpretativo – valorizzato dalla difesa della parte civile – consente di comprendere perché la vittima possa:

  • non denunciare immediatamente;
  • tornare nella relazione;
  • mantenere comportamenti affettivamente ambivalenti.

La Cassazione ha richiamato, a supporto di tale impostazione, la giurisprudenza CEDU, la Convenzione di Istanbul e le principali fonti sovranazionali, confermando un approccio moderno e aderente alla realtà dei reati di violenza domestica

Maltrattamenti in famiglia: centralità della violenza psicologica

La sentenza n. 35667/2025 ribadisce un principio fondamentale del diritto penale della famiglia:
il reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p. non richiede necessariamente violenze fisiche visibili.

La Corte ha correttamente valorizzato:

  • l’isolamento sociale della vittima;
  • il controllo economico e relazionale;
  • le umiliazioni e le minacce;
  • la compressione sistematica dell’autodeterminazione personale.

Anche su questo punto, la Suprema Corte ha seguito l’impostazione della difesa della parte civile, riconoscendo l’autonomia e la gravità della violenza psicologica come forma tipica di maltrattamento.

Avvocato penalista cassazionista: quando la strategia difensiva incide in Cassazione

Nel giudizio di Cassazione, dove i margini di intervento sono ristretti e altamente tecnici, riuscire a ottenere una motivazione così articolata e aderente alle tesi difensive rappresenta un risultato di particolare rilievo.

La sentenza n. 35667/2025 dimostra come una difesa della parte civile condotta da un avvocato penalista cassazionista esperto possa:

  • orientare il quadro interpretativo della Corte;
  • consolidare principi giurisprudenziali favorevoli alla tutela delle vittime;
  • resistere efficacemente alle censure difensive in sede di legittimità.

Un riconoscimento autorevole della competenza, dell’esperienza e del metodo di lavoro dell’Avv. Danilo Iacobacci, penalista cassazionista, da sempre impegnato nella tutela delle vittime di reati e nei procedimenti penali dinanzi alla Corte di Cassazione

 

Sentenza 173/2025 — apertura ai casi di infermità mentale nel furto in abitazione

Sentenza 173/2025 — apertura ai casi di infermità mentale nel furto in abitazione

La Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 173 del 2025, si è pronunciata sul profilo di costituzionalità dell’art. 624‑bis, quarto comma del Codice Penale, nella parte in cui disciplina il furto in abitazione, escludendo la prevalenza o equivalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente (ai sensi dell’art. 89 codice penale) rispetto alla fattispecie aggravata.

Il caso concreto e la questione sollevata

Il rimettente — un tribunale ordinario — ha impugnato la norma nel corso di un procedimento per furto in abitazione, ritenendo che la preclusione automatica dell’attenuante psicofisica per gli autori che agiscano in condizioni di ridotta capacità mentale violasse il principio di ragionevolezza e uguaglianza sancito dall’art. 3 Costituzione.

In pratica: anche se l’autore del furto agiva sotto l’influenza di un vizio parziale di mente, la legge non consentiva al giudice di valorizzare tale circostanza attenuante, proclamando una forma di automatismo peggiorativo rispetto a chi compie il medesimo reato in piena lucida capacità.

La decisione della Corte: norma incostituzionale

La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 624-bis, quarto comma, nella parte che impedisce di riconoscere come prevalente o equivalente il vizio parziale di mente di cui all’art. 89 c.p.

In tal modo, riconosce che la legge — nel prevedere un’automatica esclusione dell’attenuante per tutti i casi di furto in abitazione aggravato — pone un discrimine irragionevole e lesivo del principio di eguaglianza tra imputati: chi commette il furto in condizioni psicofisiche compromesse non può essere trattato peggio di chi compie lo stesso reato in piena capacità, semplicemente a causa di una scelta normativa rigida.

Conseguenze pratiche

  • La decisione apre la possibilità, nei processi per furto in abitazione aggravato, di valutare il vizio parziale di mente come attenuante, con conseguente riduzione della pena o, ove del caso, riconoscimento dell’estinzione o attenuazione della responsabilità.
  • Chi si trova in stato di infermità mentale o di alterazione psichica al momento del fatto potrà chiedere al giudice di considerare la ridotta imputabilità, nonostante l’aggravante di abitazione.
  • La sentenza segna un principio di coerenza e ragionevolezza nella legislazione penale: il diritto penale non può discriminare in modo rigido tra vulnerabilità psichica e capacità lucida, in particolare quando viene configurata l’abitualità o l’aggravante del furto in abitazione.

Conclusione

Con la sentenza 173/2025, la Corte Costituzionale ristabilisce il primato del principio di eguaglianza e ragionevolezza anche in materia penale aggravata. La normativa penale, quando interviene su fattispecie gravi come il furto in abitazione aggravato, non può ignorare le condizioni soggettive dell’autore, rinchiudendosi in automatismi preclusivi che escludono qualsiasi valutazione caso per caso.

La Corte costituzionale “libera” la particolare tenuità del fatto per la resistenza a pubblico ufficiale (sent. n. 172/2025)

La Corte costituzionale “libera” la particolare tenuità del fatto per la resistenza a pubblico ufficiale (sent. n. 172/2025)

1. Di che cosa si occupa la sentenza 172/2025

Con la sentenza n. 172 del 2025, la Corte costituzionale ha affrontato la disciplina della particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) in relazione ai reati di:

  • violenza o minaccia a pubblico ufficiale (art. 336 c.p.),
  • resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.),

quando il fatto è commesso contro ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria nell’esercizio delle funzioni.

Finora, l’art. 131-bis, comma 3, c.p. escludeva in modo assoluto l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto in questi casi.

Il Tribunale di Firenze, investito di un processo per resistenza/violenza a pubblico ufficiale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost., ritenendo irragionevole questa esclusione, specie dopo le modifiche apportate alla disciplina dall’ultima riforma Cartabia e dal d.lgs. 150/2022.

2. Il caso concreto: un gesto minimo, una risposta massima

Il giudice a quo era chiamato a giudicare una donna, incensurata, di corporatura minuta e affetta da patologia oncologica, imputata – in origine – per resistenza aggravata a pubblico ufficiale (artt. 337 e 339 c.p.).

Secondo l’accusa, durante una manifestazione politica del 2019, alla quale non veniva fatta accedere per ragioni di capienza, l’imputata avrebbe:

  • toccato più volte con un dito il torace di un agente,
  • e infine dato uno schiaffo al volto al medesimo agente,
    per opporsi all’atto d’ufficio (il diniego di accesso alla manifestazione).

Il Tribunale ha riqualificato il fatto come violenza a pubblico ufficiale ex art. 336, primo comma, c.p. e ha ritenuto che, in concreto, la condotta potesse essere di particolare tenuità: gesto episodico, forza modesta, assenza di reale pericolosità sociale, movente legato al desiderio di partecipare alla manifestazione e non di turbarla.

Tuttavia, l’art. 131-bis, comma 3, vietava al giudice di applicare la causa di non punibilità, proprio perché il fatto riguardava gli artt. 336 e 337 c.p. commessi in danno di agenti di pubblica sicurezza/polizia giudiziaria in servizio.

Da qui il dubbio: è ragionevole che la legge impedisca sempre e comunque la valutazione della tenuità nei reati di resistenza/violenza a p.u. contro agenti in servizio, anche quando il fatto è minimo?

3. Il cuore della questione: l’art. 3 Cost. e il confronto con altri reati

Il Tribunale di Firenze ha impostato la questione sul terreno dell’art. 3 Cost. (ragionevolezza/eguaglianza), mettendo a confronto il regime di 336–337 c.p. con altri reati analoghi o più gravi, per i quali invece la particolare tenuità può operare.

Tra i tertia comparationis indicati:

  • la violenza o minaccia a corpo politico, amministrativo o giudiziario (art. 338 c.p.);
  • la resistenza alla forza armata (art. 143 c.p.m.p.);
  • la violenza o minaccia in danno di personale scolastico e sanitario (con le aggravanti specifiche introdotte negli anni).

La situazione paradossale, dopo le riforme, è questa:

  • il reato di art. 338 c.p., più grave sul piano edittale (reclusione da 1 a 7 anni), è oggi ammissibile alla particolare tenuità, perché rientra nei limiti del nuovo art. 131-bis (minimo edittale non superiore a due anni e nessuna esclusione nominativa);
  • i reati di artt. 336 e 337 c.p., meno gravi (reclusione da 6 mesi a 5 anni), restano invece esclusi ex lege dalla tenuità del fatto, se commessi contro agenti di p.s. o p.g. in servizio.

In altre parole, la particolare tenuità può operare per il reato più grave (art. 338), ma non per quello meno grave (336–337): esattamente il contrario di ciò che sarebbe logico in una prospettiva di proporzionalità e coerenza del sistema sanzionatorio.

4. L’evoluzione dell’art. 131-bis e il “corto circuito” normativo

La Corte ricostruisce l’evoluzione dell’art. 131-bis c.p.:

  1. Testo originario (2015)
    • limite basato sul massimo edittale (non superiore a 5 anni);
    • nessuna “eccezione nominativa” per singoli reati, ma solo esclusioni fondate su elementi oggettivi (crudeltà, motivi abietti, morte o lesioni gravissime, ecc.).
  2. Decreto sicurezza 2019 e modifiche 2020
    • introduzione delle eccezioni nominative per alcune fattispecie, tra cui gli artt. 336 e 337 c.p., inizialmente in relazione a qualunque pubblico ufficiale, poi specificamente agli ufficiali/agenti di p.s. o p.g. in servizio.
  3. Riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022)
    • mutamento del criterio: non più massimo, ma minimo edittale (non superiore a 2 anni);
    • ampliamento dell’area dei reati potenzialmente coperti dall’istituto;
    • contestuale introduzione di ulteriori eccezioni nominative, tra cui la conservazione del divieto per artt. 336 e 337 c.p. quando la condotta è rivolta contro agenti di p.s./p.g. in servizio.

Risultato: art. 338 c.p. entra nel campo di applicazione della tenuità (minimo 1 anno, nessuna esclusione), mentre 336–337 ne restano fuori, se riferiti a forze dell’ordine.

La Corte prende atto anche della sopravvenuta aggravante del 2025 (d.l. 48/2025, conv. in l. 80/2025), che aumenta la pena fino alla metà per la violenza/minaccia contro agenti di p.s./p.g., ma evidenzia che il minimo edittale resta comunque inferiore a quello di art. 338 c.p.

Quindi, anche con l’aggravante, il quadro rimane irragionevole: il reato meno grave continua a subire un regime più severo quanto alla possibilità di riconoscere la particolare tenuità del fatto.

5. La motivazione della Corte: manifesta irragionevolezza e violazione dell’art. 3 Cost.

Nel “Considerato in diritto”, la Corte afferma espressamente che la questione è fondata.

I passaggi chiave:

  • Omogeneità delle fattispecie:
    • gli artt. 336, 337 e 338 c.p. tutelano tutti un bene giuridico complesso, che comprende il regolare funzionamento della Pubblica Amministrazione e la libertà/sicurezza della persona che esercita la funzione pubblica;
    • la differenza è che l’art. 338 colpisce condotte di violenza o minaccia nei confronti di un corpo politico, amministrativo o giudiziario, quindi in un contesto, se possibile, più grave, anche per le funzioni costituzionali coinvolte.
  • Paradosso sanzionatorio:
    è «manifestamente irragionevole» che la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto sia ammessa per il reato più grave (art. 338 c.p.) e esclusa per i reati meno gravi (artt. 336 e 337 c.p.) commessi contro agenti di p.s. o p.g. in servizio.
  • Continuità con la sentenza n. 30/2021, ma mutato contesto:
    la Corte non smentisce la precedente sentenza n. 30/2021 (che aveva ritenuto legittima l’esclusione della tenuità per la resistenza), ma osserva che il quadro normativo è cambiato con la riforma del 2022 e con l’inclusione di art. 338 nel perimetro dell’art. 131-bis. Ne deriva una nuova distonia, non più sostenibile.

Questo squilibrio finisce per incidere anche sulla funzione rieducativa della pena: un sistema sanzionatorio internamente incoerente, in cui il meno grave è trattato peggio del più grave, è difficilmente compatibile con un assetto razionale e proporzionato di pene e cause di non punibilità.

6. Il dispositivo: che cosa viene dichiarato incostituzionale

Nel dispositivo, la Corte stabilisce:

«dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 131-bis, terzo comma, del codice penale,
nella parte in cui si riferisce agli artt. 336 e 337 dello stesso codice».

Questo significa, in termini pratici:

  • l’art. 131-bis, comma 3, non potrà più escludere automaticamente la particolare tenuità del fatto nei procedimenti per:
    • violenza o minaccia a pubblico ufficiale (art. 336 c.p.),
    • resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.),
      anche quando la persona offesa sia un agente di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria in servizio;
  • il giudice torna ad avere la possibilità di valutare caso per caso, applicando la particolare tenuità ove ne ricorrano i presupposti generali (offesa di particolare tenuità, modalità della condotta, grado di colpevolezza, personalità dell’imputato, occasionalità del fatto, ecc.).

La Corte dichiara poi assorbita l’ulteriore questione subordinata sull’art. 339 c.p. (aggravante per il fatto commesso nel corso di manifestazioni pubbliche), proprio perché la pronuncia sull’art. 131-bis è già sufficiente a incidere sul caso concreto

7. Cosa cambia in concreto dopo la sentenza 172/2025

7.1. Per i procedimenti in corso

Nei procedimenti pendenti per:

  • art. 336 c.p. (violenza/minaccia a p.u.),
  • art. 337 c.p. (resistenza a p.u.),

commessi anche contro agenti di p.s./p.g. in servizio, sarà ora possibile:

  • domandare l’applicazione dell’art. 131-bis c.p.,
  • argomentando su tenuità dell’offesa, occasionalità della condotta, assenza di abitualità, circostanze soggettive dell’imputato, eventuale esiguità della violenza o della minaccia.

Non si tratta, ovviamente, di una depenalizzazione:
il reato rimane, ma il giudice può dichiarare non punibile l’imputato per particolare tenuità del fatto, laddove ricorrano tutti i presupposti.

7.2. Per i procedimenti definiti

Come per tutte le pronunce di illegittimità costituzionale in malam legem, la decisione della Corte si applica anche:

  • ai procedimenti non ancora definiti con sentenza irrevocabile,
  • e si riflette sui giudizi passati in giudicato solo attraverso gli strumenti propri dell’esecuzione penale (ad es. incidente di esecuzione, revoca della sentenza se la non punibilità per particolare tenuità del fatto risulta applicabile come lex mitior).

In pratica, la difesa potrà valutare:

  • se chiedere la rideterminazione dell’esito processuale in corso di esecuzione,
  • oppure se sfruttare la nuova apertura solo nei processi ancora pendenti.

8. Una svolta importante nel rapporto tra ordine pubblico e proporzionalità della risposta penale

La sentenza n. 172/2025 non “smonta” la tutela del pubblico ufficiale e delle forze dell’ordine:
la Corte ribadisce che si tratta comunque di reati plurioffensivi, che proteggono sia la persona fisica del funzionario/agente, sia il buon andamento e l’autorevolezza della Pubblica Amministrazione.

Ciò che cambia è un’altra cosa:

  • si abbandona la logica del divieto automatico di tenuità;
  • si restituisce al giudice il potere di distinguere tra:
    • episodi di reale aggressione all’ordine pubblico,
    • e condotte minime, episodiche, simboliche, spesso legate a contesti di tensione (come le manifestazioni pubbliche), in cui la risposta penale piena può risultare sproporzionata.

In definitiva, la Corte riequilibra il sistema:
protezione delle forze dell’ordine sì, ma non al prezzo di trattare il reato meno grave peggio di quello più grave, né di impedire al giudice di riconoscere quei casi in cui il diritto penale, davvero, può e deve arretrare.

Responsabilità Medica e Processo Penale: la Corte Costituzionale apre alla citazione dell’assicurazione (Sentenza n. 170/2025)

Responsabilità Medica e Processo Penale: la Corte Costituzionale apre alla citazione dell’assicurazione (Sentenza n. 170/2025)

a cura di De Stefano & Iacobacci Avvocati

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 170/2025, ha introdotto un principio fondamentale per la responsabilità medica e per la difesa dei sanitari nei processi penali per omicidio colposo o lesioni colpose.
Da oggi, nei procedimenti penali relativi a presunti errori medici, l’assicurazione obbligatoria della struttura sanitaria può essere citata come responsabile civile, su richiesta dell’imputato.

Una novità di enorme rilievo per medici, strutture sanitarie, pazienti e per tutti coloro che cercano un avvocato esperto in responsabilità medica e sanitaria ad Avellino e in Campania e più in generale in Italia.

Cosa ha deciso la Corte Costituzionale

La questione nasce da un processo penale riguardante un presunto errore medico. L’art. 83 del codice di procedura penale, fino a oggi, non consentiva all’imputato di citare l’assicurazione obbligatoria della struttura sanitaria come responsabile civile.

La Corte ha dichiarato incostituzionale questa limitazione, affermando che:

  • l’assicurazione prevista dalla Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017) ha una funzione di garanzia sia per il paziente che per il medico;
  • escluderne la citazione in sede penale viola il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.);
  • l’imputato deve poter chiamare in giudizio l’assicuratore, come già avviene nel processo civile;
  •  la tutela della responsabilità sanitaria deve essere uniforme e garantire la parità delle parti anche davanti al giudice penale.

Questa decisione segue l’orientamento già tracciato dalla Corte con le sentenze n. 112/1998 e n. 159/2022.

Implicazioni pratiche per medici e strutture sanitarie

La sentenza n. 170/2025 produce effetti immediati nei processi riguardanti: responsabilità medica, presunti errori sanitari, omicidio colposo in ambito ospedaliero, lesioni colpose correlate all’attività clinica, professionisti sanitari dipendenti o “strutturati”, strutture pubbliche e private con polizza assicurativa obbligatoria.

D’ora in poi:
  • il medico imputato potrà coinvolgere l’assicurazione sin dall’inizio del processo penale;
  • l’onere economico potrà essere correttamente distribuito tra struttura, assicurazione e professionista;
  • la difesa potrà strutturare una strategia più solida, completa e tecnicamente tutelante;
  • il processo penale diventa più equilibrato e vicino alle garanzie previste nel giudizio civile.

Perché questa decisione è importante per chi cerca un avvocato esperto in responsabilità medica

Chi affronta un procedimento per responsabilità sanitaria – medico, infermiere, struttura o familiare della vittima – ha bisogno di una difesa aggiornata sulle ultime novità normative e giurisprudenziali.

Questa sentenza: chiarisce i diritti dell’imputato, rafforza la posizione dei sanitari, incide sulle strategie difensive nei processi penali, permette di citare direttamente la compagnia assicurativa, migliora la protezione del professionista sanitario coinvolto in un procedimento giudiziario.

È un punto di svolta per tutta la materia della responsabilità professionale sanitaria, centrale in molte cause della provincia di Avellino, della Campania e più in generale per i processi anche già pendenti in Italia.

Consulenza in responsabilità medica e difesa nei processi penali sanitari

Lo Studio Legale De Sefano & Iacobacci, con sede in Avellino, assiste medici, strutture sanitarie e pazienti in procedimenti di: responsabilità medica, errori sanitari, colpa professionale, processi penali per omicidio colposo e lesioni, richieste risarcitorie e malpractice.

Se hai bisogno di una valutazione del tuo caso o desideri chiarire se la sentenza n. 170/2025 può incidere sul tuo procedimento

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Intelligenza artificiale e diritto d’autore: la sentenza tedesca contro OpenAI e i rischi per chi usa l’IA

Intelligenza artificiale e diritto d’autore: la sentenza tedesca contro OpenAI e i rischi per chi usa l’IA

a cura di De Stefano & Iacobacci Avvocati

Introduzione

La diffusione di strumenti di intelligenza artificiale generativa ha aperto scenari inediti sul piano del diritto d’autore. Una recente sentenza del Tribunale regionale di Monaco (Germania), nel caso tra GEMA e OpenAI, ha stabilito che il training di un modello IA su testi protetti può costituire una riproduzione illecita se quei testi possono essere “richiamati” dal sistema.

Vediamo cosa ha deciso il giudice tedesco, quali rischi emergono per sviluppatori e utenti e perché questo precedente riguarda da vicino anche l’Italia.

Il caso GEMA vs OpenAI in breve

La società di gestione collettiva GEMA ha contestato a OpenAI l’uso, senza licenza, di testi di canzoni protette da diritto d’autore per l’addestramento del modello alla base di ChatGPT.

Il tribunale ha ritenuto che:

  • durante il training l’IA memorizza porzioni riconoscibili di opere protette;

  • se l’utente può ottenere in output quei testi (o parti sostanziali), si ha una riproduzione ai sensi del diritto d’autore;

  • tale riproduzione richiede una base legittima: licenza o specifica eccezione di legge.

Ne deriva che non è sufficiente invocare genericamente il text and data mining per giustificare qualsiasi uso di contenuti protetti nel training IA.

Perché la sentenza tedesca è rilevante in Europa e in Italia

Pur essendo una decisione di un giudice nazionale, la sentenza:

  • si inserisce in un quadro europeo in cui il diritto d’autore è fortemente armonizzato;

  • fornisce un’interpretazione che altri tribunali potrebbero seguire;

  • influisce sul dibattito su IA, copyright e fairness nei confronti degli autori.

Per operatori italiani – sviluppatori, start-up, agenzie di comunicazione, aziende che usano IA – il messaggio è chiaro: non si può dare per scontato che i dati di training siano sempre “liberi” da vincoli.

Rischi per sviluppatori e imprese che usano IA

Rischi per chi sviluppa modelli IA

Gli sviluppatori di sistemi IA, soprattutto se addestrati su dati testuali, musicali o visivi, devono:

  • verificare la provenienza dei dataset;

  • valutare se i contenuti utilizzati siano protetti da copyright;

  • considerare la necessità di licenze specifiche o accordi con società di gestione collettiva.

La mancata attenzione a questi profili espone al rischio di:
  • azioni legali per violazione del diritto d’autore;

  • richieste di risarcimento;

  • ordini giudiziali di cessazione dell’uso di determinati modelli.

Rischi per le aziende che usano IA di terzi

Anche le imprese che utilizzano piattaforme IA di terzi (per marketing, produzione di contenuti, assistenti virtuali) devono interrogarsi su:

  • condizioni d’uso degli strumenti;

  • eventuali clausole di manleva sul diritto d’autore;

  • modalità di utilizzo commerciale degli output.

Se un contenuto generato viola il copyright, il titolare del diritto potrebbe colpire sia il fornitore dello strumento IA, sia chi ne ha fatto uso in modo intensivo a fini commerciali.

Cosa fare: linee guida legali per un uso responsabile dell’IA

Per ridurre i rischi legati a IA e diritto d’autore, è consigliabile:

  1. Mappare l’uso di IA in azienda: quali strumenti vengono usati? per quali finalità (marketing, testi legali, materiale pubblicitario, ecc.)?

  2. Rivedere i contratti con i fornitori di IA, inserendo clausole su:

    • origine lecita dei dati di training;

    • rispetto del diritto d’autore;

    • manleva e ripartizione delle responsabilità.

  3. Definire policy interne sull’uso dei contenuti generati da IA (es. divieto di usare testi generati come “bozze legali” senza supervisione, controlli su materiale destinato alla pubblicazione).

  4. Valutare la necessità di licenze o accordi con titolari di diritti per progetti IA particolarmente sensibili (ad es. in ambito media, editoria, musica).


Se la tua azienda utilizza l’IA per generare contenuti o sviluppare prodotti, è fondamentale valutare l’impatto sul diritto d’autore e strutturare adeguati strumenti contrattuali e di compliance.

GDPR sotto pressione: come cambiano privacy e intelligenza artificiale per imprese e professionisti

GDPR sotto pressione: come cambiano privacy e intelligenza artificiale per imprese e professionisti

a cura di De Stefano & Iacobacci Avvocati

Introduzione

L’Europa è conosciuta come la “casa” del GDPR, il regolamento che ha alzato l’asticella della tutela dei dati personali nel mondo. Oggi però, tra pressioni economiche e corsa all’intelligenza artificiale (IA), l’Unione Europea sta valutando modifiche che potrebbero allentare alcune tutele.

In questo articolo vediamo quali sono le proposte in discussione, quali rischi comportano per la privacy e cosa dovrebbero fare aziende e professionisti per prepararsi.

IA e dati personali: perché il GDPR è al centro del dibattito

I sistemi di intelligenza artificiale si nutrono di enormi quantità di dati, spesso anche personali e talvolta sensibili. Il GDPR, con i suoi principi di:

  • minimizzazione,

  • limitazione delle finalità,

  • liceità e trasparenza,

è percepito da alcuni operatori come un freno allo sviluppo tecnologico.

Da qui nascono le proposte di “semplificazione”: un tentativo di rendere più facile, per imprese e sviluppatori, utilizzare dati a fini di addestramento IA, riducendo al contempo gli oneri formali.

Le modifiche discusse: più margini per il legittimo interesse?

Le bozze in circolazione (ancora in evoluzione) ipotizzano:

  • un ampliamento della base giuridica del legittimo interesse per trattamenti legati all’IA;

  • la possibilità di trattare alcuni dati sensibili con misure di garanzia “rafforzate”, anche in assenza di un consenso esplicito;

  • una riduzione di alcune incombenze documentali per le imprese.

Per i critici, queste modifiche rischiano di tradursi in una erosione graduale della protezione offerta dal GDPR, soprattutto se combinate con la complessità tecnica dei sistemi di IA, spesso opachi anche per gli addetti ai lavori.

Impatti concreti per le imprese italiane

Per le aziende che operano in Italia, le modifiche al GDPR e l’entrata in vigore dell’AI Act significano:

  • dover rivedere le proprie basi giuridiche per il trattamento dei dati;

  • riconsiderare le valutazioni di impatto (DPIA) nei progetti che coinvolgono IA;

  • aggiornare le informative a clienti, dipendenti e utenti;

  • affrontare nuovi possibili scenari di contenzioso privacy.

Un errore di valutazione può produrre:

  • sanzioni da parte del Garante Privacy;

  • danni reputazionali significativi;

  • richieste di risarcimento da parte degli interessati.

Cosa fare ora: strategia di compliance privacy & IA

In attesa di vedere quali modifiche saranno approvate, è prudente che imprese e professionisti:

  1. Mappino tutti gli usi di IA (interni ed esterni): analisi dei dati clienti, HR, marketing, chatbot, strumenti di generazione contenuti.

  2. Rivedano i contratti con i fornitori di soluzioni IA, verificando responsabilità, ruoli privacy e garanzie sui dati.

  3. Aggiornino le policy interne su data governance, sicurezza e conservazione.

  4. Formino il personale (non solo il DPO) sugli impatti legali di IA e privacy.

Un approccio proattivo consente non solo di ridurre il rischio, ma anche di presentarsi sul mercato come soggetto affidabile e conforme, un plus competitivo non trascurabile.

Il ruolo dello studio legale: dall’audit privacy alla consulenza strategica

Cosa fa il nostro studio legale:

  •  audit GDPR & IA mirati;

  • supporta le imprese nell’implementazione di progetti IA compliant;

  • contenzioso privacy.

Se la tua impresa utilizza già sistemi di intelligenza artificiale o intende farlo, è il momento di verificare la conformità privacy con il supporto di un professionista.
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