obbligazione va adempiuta al domicilio del creditore

CASS. CIV., SEZ. VI,  23 giugno 2011, n. 13896:

….la più recente giurisprudenza di questa Corte è univoca nel ritenere che l’obbligazione va adempiuta al domicilio del creditore, ai sensi dell’art. 1182, 3° comma, cod. civ., in ogni caso in cui abbia per oggetto una somma di denaro determinata o determinabile sulla base di elementi precostituiti nel titolo dedotto in giudizio, restando irrilevante sia la circostanza che la concreta determinazione sia più o meno complessa (Cass. civ. Sez. 3, 14 ottobre 2005 n. 19958; Idem 12 gennaio 2 007 n. 453; Idem 31 maggio 2010 n. 12455); sia il fatto che l’importo sia contestato dalla controparte e debba essere accertato dal giudice, dovendo la competenza individuarsi sulla base della prospettazione della domanda; non con riferimento alla sua fondatezza nel merito (Cass. civ. Sez. 2, 18 gennaio 2007 n. 1122; Cass- civ. Sez. Lav. 17 maggio 2007 n. 11415; Cass. civ. Sez. I , 25 settembre 2009 n. 20718, fra le tante). Nella specie, in primo luogo i ricorrenti hanno chiesto che venisse accertato il loro obbligo di pagare all’avv. (…) una somma determinata (euro…). In secondo luogo, anche ammesso che la domanda debba essere interpretata come domanda di accertamento di non dovere una somma maggiore, essa avrebbe oggetto determinabile in base al titolo contrattuale, poiché si tratta del corrispettivo di un mandato professionale, che per legge deve essere individuato dal giudice sulla base di apposite tariffe, vincolanti per le parti ed incluse fra gli effetti contrattuali, pur se non espressamente richiamate, in virtù del principio di cui all’art. 1374 cod. civ., per cui il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge…

post 2011

colpa medica

In tema di colpa medica interessanti le argomentazioni di recente proposte dal Tribunale di Pisa (sent. 27.5.2011):

quanto al nesso causale come sarebbe irrazionale pretendere un comportamento comunque inidoneo ad evitare l’evento, altrettanto sarebbe rinunziare a muovere l’addebito colposo nel caso in cui la condotta osservante delle cautele, sebbene non certamente risolutiva, avrebbe diminuito significativamente il rischio di verificazione dell’evento, cioè avrebbe avuto significative probabilità di salvare il bene protetto.

Circa l’elemento soggettivo del reato una volta accertata sul piano oggettivo la violazione della regola cautelare, occorre sul piano soggettivo accertare l’esigibilità del comportamento conforme alla regola cautelare da parte dell’agente che concretamente si trova ad agire (cd. Doppio grado della colpa); in altri termini, il profilo più squisitamente soggettivo e personale della colpa viene generalmente individuato nella capacità soggettiva dell’agente di osservare la regola cautelare, nella concreta possibilità di pretendere l’osservanza della regola stessa, in una parola nella esigibilità del comportamento dovuto.

Misura soggettiva della colpa, dunque, esigibilità del comportamento lecito dall’agente del caso concreto, che va valutata sia con riferimento alla prevedibilità, che con riguardo all’evitabilità del fatto antigiuridico. In particolare, la prevedibilità altro non è che la possibilità dell’uomo coscienzioso ed avveduto (rectius: dell’agente modello) di cogliere che un certo evento è legato alla violazione di un determinato dovere oggettivo di diligenza, che cioè un certo evento è evitabile adottando determinate regole di diligenza; la evitabilità è, invece, l’idoneità della regola cautelare a scongiurare o a ridurre il pericolo che quel determinato fatto antigiuridico si realizzi: entrambi questi parametri vanno valutati in concreto, tenendo conto delle circostanze del caso in cui l’agente si è trovato ad operare

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accertamento incidente stradale

appare perfettamente rispondente al logica che in caso di incidente stradale sul quale siano intervenuti agenti di polizia stradale per gli opportuni rilevamenti, l’eventuale accertamento sia cronologiacemnte distinto dalla sua commissione. Tale accertamento, infatti, scaturisce dall’esame ponderato delle risultanze dei rilevamenti svolti sul luogo e nell’immediatezza del fatto e può avenire soltanto dopo che queste siano esaminate…Quanto a lungo poi possa in concreto protrarsi legittimamente il procedimento di accertamento è fatto che va valutato caso per caso…

(Giudice di Pace Prato, sent. n. 769 del 21 giugno 2011)

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l’obbligo del gestore di custodire i veicoli

Cassazione civile, Sez. Unite, n. 14319 del 28 giugno 2011:

l’istituzione da parte dei comuni, previa deliberazione della Giunta, di aree di sosta a pagamento ai sensi dell’art. 7, primo comma, lettera f), d. lgs. 30 aprile 1992 n. 285 (codice della strada), non comporta l’assunzione dell’obbligo del gestore di custodire i veicoli su di esse parcheggiati se l’avviso parcheggio incustodito è esposto in modo adeguatamente percepibile prima della conclusione del contratto (artt. 1326, primo comma, e 1327 cod. civ.) perché l’esclusione della custodia attiene all’ oggetto dell’ offerta al pubblico (art. 1336 cod. civ.), e l’ univoca qualificazione contrattuale del servizio, reso per finalità di pubblico interesse, normativamente disciplinate, non consente il ricorso al sussidiario criterio della buona fede, ovvero al principio della tutela dell’affidamento incolpevole sulle modalità di offerta del servizio (quali ad esempio l’adozione di recinzioni, di speciali modalità di accesso ed uscita, dispositivi o personale di controllo), per costituire l’obbligo della custodia, potendo queste costituire organizzazione della sosta.

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morte del domiciliatario del ricorrente

nel giudizio di Cassazione, la morte del domiciliatario del ricorrente determina, ai sensi dell’art. 141, quarto comma, c.p.c., l’inefficacia dell’elezione di domicilio, con la conseguenza che l’avviso d’udienza va notificato presso la cancelleria della Corte di casssazione ai sensi del secondo comma dell’art. 366 c.p.c., essendo il diritto del difensore non domiciliato in Roma, di essere informato della data fissata per la discussione del ricorso, adeguatamente salvaguardato – nel contemperamento, operato dal legislatore, dei diversi interessi delle parti e delle esigenze dell’ufficio – dalla possibilità dello stesso difensore di chiedere che l’avviso gli sia inviato in copia mediante lettera raccomandata, a norma dell’art. 135 disp. att. c.p.c.
Cass.civ., sez. Un., 24 giugno 2011, n. 13908

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prova della paternità naturale

L’art. 269 c.c., comma 4 – secondo il quale la sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra questa ed il preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità naturale – non esclude che tali circostanze, nel concorso di altri elementi, anche presuntivi, possano essere utilizzate a sostegno del proprio convincimento dal giudice del merito. (Cass. 22490/06 2640/03 14910/00).

La sentenza impugnata nell’esaminare con attenzione la decisione del giudice romeno ha rilevato che essa era fondata non solo sulle dichiarazioni della O., ma su tutta una ulteriore serie di elementi indiziari costituiti: dalla deposizione della teste T., che ha riferito delle frequentazioni del ricorrente con la O. e la di lei famiglia e del fatto che questi si era detto contento dell’arrivo del bambino; dalla mancata presentazione all’interrogatorio da parte del V.; dal fatto che dalle schede dell’albergo XXX era risultato che le parti avevano soggiornato nella stanza 123 poco più di nove mesi prima della nascita della piccola A.; dal fatto che l’ambasciata italiana in Bucarest aveva certificato, in data 1234, che le parti avevano eseguito pubblicazioni di matrimonio nel Comune di YYY.

L’accertamento della paternità, così come risulta verificato dalla sentenza della Corte d’appello, che oltretutto non risulta censurata in ordine alle sopra citate argomentazioni, è dunque avvenuto nel pieno rispetto dei principi stabiliti dalla legge italiana, così come gli stessi risultano interpretati dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, onde certamente nessuna violazione dell’ordine pubblico interno si è verificata.

Cass. civ., sez. I, 9 giugno 2011, n. 12646.

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r.r. raccomandata

un telegramma (cosi come una lettera raccomandata), anche in mancanza di ricevimento, attestata dall’ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione anzidetta e dell’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico, di arrivo al destinatario e di conoscenza dell’atto (v. Cass. 3^, 4.6.2007 n. 12954; 2^, 13.3.2006 n. 8649; Lav. 16.1.2006 n. 758; 3^, 24.11.2004 n. 22133; 3^, 27.2.01 n. 10284, conf. N. 3908/92, 1265/99, 4140/99, 13959/00). Siffatta produzione, ovviamente, non da luogo ad una presunzione iuris et de iure di avvenuto ricevimento dell’atto, essendo sempre possibile la specifica confutazione della circostanza e la prova contraria. Nel caso di specie tale confutazione, per quanto ritenuta “inequivoca” dal giudice di merito, non risulta essere idonea, non essendo stati addotti elementi di prova al riguardo (quali la circostanza che il plico non contenga alcuna lettera o ne contenga una di contenuto diverso: Cass. n. 22133/04; assenza del destinatario dalla residenza o domicilio indicati nel telegramma all’epoca della convocazione: 8649/06) o sollecitati accertamenti (presso gli uffici dell’amministrazione postale) atti a verificare l’assunta mancata ricezione,

così Cass. civ., sez. III, 20 giugno 2011, n. 13488.

il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità

l’unitarietà dell’accertamento che è (o deve essere) alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicchè tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, cioè gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario: pertanto, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone al giudice adito in primo grado l’integrazione del contraddittorio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29), ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità per violazione del principio del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 2, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio (Cass., Sez. un., n. 14815 del 2008).

Peraltro, ad identica conclusione è già giunta questa Corte in relazione al ricorso proposto dalla società sopra indicata (Cass. n. 18593 del 2010). In conclusione, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio.”; che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti; che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie.

Considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, riaffermato il principio di diritto sopra richiamato e rilevata la nullità dell’intero giudizio, la sentenza impugnata deve essere cassata (così restando travolta anche quella di primo grado) e la causa rinviata alla Commissione tributaria provinciale di Avellino…

Cass. civ., sez. V, Ordinanza del 19 maggio 2011, n. 11092

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a carico del debitore (medico o struttura sanitaria) l’onere

Ad avviso della Corte di Cassazione Civile, Sez. III, 7 giugno 2011, n. 12274:

La Corte d’Appello ha qualificato correttamente il rapporto come contrattuale ed, in diritto, ha tratto tutte le dovute conseguenze applicative dell’art. 1218 cod. civ., anche con riguardo al particolare aspetto della controversia che è specifico oggetto di censura. Nel valutare le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio la Corte di merito ha preso in esame anche quanto detto dal consulente a proposito dell’evenienza infettiva e ha ricondotto l’infezione ad un evento imprevisto e comunque non evitabile né imputabile alla condotta dei sanitari. Infatti, per un verso, ha escluso che fosse ascrivibile a colpa dei sanitari la causa mediata dell’infezione, vale a dire la scelta dell’intervento chirurgico d’urgenza, ritenuto indifferibile, e della tecnica operatoria, ritenuta giustificata e non sperimentale; per altro verso, ha ascritto la contaminazione della cavità addominale da parte di germi, della quale indubbiamente l’intervento chirurgico era stato occasione (o causa mediata), ad una complicanza che può sì verificarsi per interventi quale quello subito dall’attrice, ma in una percentuale talmente bassa che è da escludere che il relativo accadimento potesse essere previsto ed evitato dai sanitari adottando la diligenza richiesta nel caso concreto. Ed invero, pur non avendo la Corte d’Appello specificamente motivato in merito alla configurazione giuridica di detta causa di esonero da responsabilità, si è esplicitamente avvalsa dell’elaborato peritale supplementare – finalizzato proprio a conoscere la percentuale di verificazione della complicanza infettiva in casi di cesarei trattati con la tecnica di Stark – al fine di confermare la sentenza di primo grado che aveva utilizzato i parametri indicati dal consulente (nella misura compresa tra lo 0,3% e lo 0,7% delle concrete possibilità del verificarsi, in casi analoghi, di complicanze operatorie non imputabili ad omessa o insufficiente diligenza professionale ovvero ad imperizia dell’operatore) per affermare l’inevitabilità, nel caso concreto, di detta complicanza. Decidendo in tale ultimo senso la Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione dei principi più volte espressi in materia da questa Corte e che qui si ribadiscono, per i quali, in caso di prestazione professionale medica in struttura ospedaliera, resta a carico del debitore (medico o struttura sanitaria) l’onere di dimostrare che la prestazione è stata eseguita in modo diligente, e che il mancato o inesatto adempimento è dovuto a causa a sé non imputabile, in quanto determinato da un evento non prevedibile né prevenibile con la diligenza nel caso dovuta, in particolare con la diligenza qualificata dalle conoscenze tecnico-scientifiche del momento (cfr., tra le più recenti, Cass. 8 ottobre 2008, n. 24791, 15 ottobre 2009, n. 975, 29 settembre 2009, n. 20806).

post 2011

responsabilità civile e convivente “more uxorio”

Ad avviso di Cass. civ., sez. III, 7 Giugno 2011, N. 12278:
I giudici di merito hanno tenuto conto della particolarità della situazione in oggetto, condividendo la giurisprudenza, anche di legittimità, che in materia di responsabilità civile ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno conseguente alle lesioni o alla morte di una persona in favore del convivente “more uxorio” di questa, pur richiedendo che venga fornita, con qualsiasi mezzo, la prova dell’esistenza e della durata di una comunanza di vita e di affetti e di una vicendevole assistenza morale e materiale, cioè di una relazione di convivenza avente le stesse caratteristiche di quelle dal legislatore ritenute proprie del vincolo coniugale (Cass. Sez. 3, 29/4/2005 n. 8976).
In base agli stessi presupposti, la Corte di Appello ha ritenuto la sussistenza del diritto al risarcimento in favore di chi sia stata legata da un vincolo di filiazione naturale alla vittima del sinistro, ancorché non legalmente riconosciuta, laddove tale vincolo sia stato contraddistinto dalle medesime caratteristiche di quello tra genitore e figlio legittimo o naturale riconosciuto.
Dall’esame del compendio probatorio, i giudici di merito hanno ritenuto provato che da molti anni AAA aveva stabilito la sede principale della sua attività lavorativa a XXX e lì aveva costituito con BBB un’unione stabile, caratterizzata non soltanto da un legame affettivo, ma anche dalla gestione comune dei molteplici aspetti della vita quotidiana, con reciproco appoggio morale e materiale, nonchè, successivamente, dalla condivisione dei compiti connessi alla nascita e alla crescita della figlia CCC, con la quale il DDD intratteneva un rapporto sotto ogni profilo assimilabile a quello genitore-figlio;
che AAA. aveva peraltro mantenuto stabili legami, anche affettivi, con i figli legittimi e con la moglie, i quali vivevano a Salerno e con i quali trascorreva regolarmente le principali festività, provvedendo sotto il profilo economico alle esigenze anche di questo nucleo familiare.
Si osserva che i Giudici di appello hanno parificato, ai fini del risarcimento dei danno morale, la famiglia legale e la famiglia di fatto, in quanto per quest’ultima è stata provata la stabilità e la continuità nel tempo del rapporto e delle relazioni affettiva.
Successivamente hanno differenziato le singole posizioni degli aventi diritto, riconoscendo alla moglie ed alla convivente un importo maggiore rispetto ai figli, e per i figli un importo diverso per quelli conviventi e per la figlia sposata, a cui è stato liquidato un importo inferiore.
Quindi, nel risarcimento concreto del danno, tenendo conto della particolarissima situazione di un soggetto con due nuclei familiari legati a lui da una rapporto di protratta e contemporanea stabilità nel tempo, i giudici di merito, lungi dal lamentato automatismo, hanno tenuto conto della diversa intensità del vincolo familiare, moglie convivente e figli, e della effettiva convivenza liquidando alla figlia sposata un importo inferiore.

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Chiamaci!