Con la storica sentenza n. 143 del 2024 la CORTE COSTITUZIONALE italiana ha:
1) dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 31, comma 4, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), nella parte in cui prescrive l’autorizzazione del tribunale al trattamento medico-chirurgico anche qualora le modificazioni dei caratteri sessuali già intervenute siano ritenute dallo stesso tribunale sufficienti per l’accoglimento della domanda di rettificazione di attribuzione di sesso;
2) dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal Tribunale ordinario di Bolzano, sezione seconda civile, in composizione collegiale, con la ordinanza di remissione.
Cosa significa? Che conseguenze ci sono?
La sentenza n. 143 del 2024 della Corte Costituzionale italiana ha affrontato due questioni principali sollevate dal Tribunale di Bolzano riguardanti la rettificazione di sesso e il riconoscimento di identità di genere non binarie.
1. Inammissibilità del riconoscimento del “terzo genere”:
La Corte ha dichiarato inammissibile la questione relativa alla mancata previsione di un genere “altro” oltre a quello maschile e femminile.
La Corte ha argomentato che l’introduzione di un terzo genere avrebbe un impatto sistemico e richiederebbe un intervento legislativo complessivo.
La Corte ha sottolineato che la questione deve essere affrontata dal legislatore, evidenziando comunque la crescente sensibilità verso le identità non binarie e la necessità di un dibattito pubblico e legislativo su questo tema.
2. Incostituzionalità dell’autorizzazione del tribunale per i trattamenti medico-chirurgici:
La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma che richiedeva l’autorizzazione del tribunale per i trattamenti medico-chirurgici di adeguamento dei caratteri sessuali.
Ha ritenuto che questa prescrizione fosse irragionevole, in quanto l’evoluzione giurisprudenziale ha escluso la necessità di un intervento chirurgico come condizione per la rettificazione anagrafica.
La sentenza semplifica significativamente l’accesso ai trattamenti, eliminando l’obbligo dell’autorizzazione giudiziale, riducendo così tempi e costi per i richiedenti e alleggerendo il carico di lavoro dei tribunali.