onere della prova insuccessp medico

nel caso in cui non risulti dimostrato che il danno si sarebbe verificato anche in mancanza della sofferenza fetale durante il travaglio ed il parto, occorrerà accertare (secondo i criteri più volte richiamati in precedenza) se i sanitari siano incorsi in un’omissione in quei momenti (per non avere tempestivamente diagnosticato una sofferenza fetale effettivamente verificatasi e quindi per non aver compiuto interventi idonei a porvi rimedio od anticipato il parto); se in applicazione dei criteri di riparto dell’onere della prova esposti sub 2 e 3, il giudice di merito dovesse giungere, comunque, ad escludere che vi sia stato un insulto anosso-ischemico intrapartum non dovrà procedere oltre, essendo escluso l’antecedente causale addotto dalla parte attrice; – se, invece, dovesse ritenere, sempre secondo detti criteri, anche soltanto la ragionevole probabilità della verificazione di una sofferenza fetale, dovrebbe accertare e valutare se l’allegata omissione possa essere stata causa (o concausa), secondo un giudizio di adeguata probabilità, sul piano scientifico, della patologia della bambina; e soltanto all’esito positivo di quest’ultimo accertamento potrà dirsi, dunque, accertato che se i sanitari fossero intervenuti tempestivamente (ossia, avessero evitato o limitato la sofferenza fetale) è più probabile che la nascitura sarebbe nata sana (o comunque affetta da patologie meno gravi) e meno probabile che sarebbe nata con le patologie oggi invece riscontrabili; quindi, potrà dirsi accertato il nesso di causalità. Risolto come sopra il problema del nesso causale, il giudice di merito dovrà compiere la diversa ed ulteriore valutazione in merito alla scusabilità della condotta di ciascuno dei convenuti, ossia se questa fu o meno cagionata da colpa professionale, in applicazione della regola per la quale, in ragione della natura contrattuale del rapporto sottostante (presunzione semplice di responsabilità a carico sia degli enti che dei medici alle loro dipendenze – art. 1218 c.c.), l’onere della prova che l’insuccesso non sia dipeso da mancanza di diligenza (e, soprattutto, di perizia professionale specifica) incombe a carico dei medici e degli enti di appartenenza.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 09-06-2011, n. 12686

post 2011

il foro esclusivo del consumatore prevale anche nelle cause contro l’avvocato

La Corte di Cassazione terza sezione civile, in data 9 giugno 2011, ha sancito che il foro esclusivo del consumatore prevale anche nelle cause contro l’avvocato. La residenza del professionista prevale solo nel caso in cui l’assistito sia un’azienda o un imprenditore. Gli Ermellini hanno respinto il ricorso di un legale che aveva ottenuto dal Tribunale di Roma un decreto ingiuntivo nei confronti di un suo assistito per aver seguito per suo conto un giudizio innanzi al Tar. E’ evidente, per la corte, che la disciplina del consumatore si applica anche al professionista prestatore d’opera intellettuale (art. 2229 c.c.), qual è l’avvocato. A nulla rileva che “il rapporto tra l’avvocato e il professionista sia caratterizzato dall’intuitu personae e sia, non di contrapposizione, ma di collaborazione (questo, tra l’altro, solo nei rapporti esterni con i terzi, ossia con le controparti del cliente), non rientrando tale circostanza nel paradigma normativa”. Anche in questo caso, sostiene la Corte, si versa nell’ipotesi di contratto (d’opera professionale) stipulato tra un professionista (l’avvocato), che tipicamente conclude quel tipo di contratto nella sua attività professionale, ed un cliente, il quale, a seconda delle circostanze, può esser un consumatore o meno.

TFR e coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di divorzio

L’art. 12 bis, aggiunto alla L. n. 898 del 1970 dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 16, statuisce che il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di divorzio ha diritto, se non passato a nuove nozze “e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza”. Questa Corte ha già avuto modo di statuire che detto art. 12 bis, con l’attribuire al coniuge al quale sia stato riconosciuto l’assegno ex art. 5 della legge stessa e non sia passato a nuove nozze il diritto ad una quota dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge “anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza”, deve essere interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge quando l’indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della domanda di divorzio (con conseguente insussistenza del diritto unicamente se l’indennità matura anteriormente a tale momento) e, quindi, anche prima della sentenza di divorzio, senza che rilevi che a tale momento l’assegno divorzile sia stato già liquidato e sia già dovuto, implicando ogni diversa interpretazione profili non manifestamente infondati di incostituzionalità della norma in riferimento all’art. 3 Cost. (Cass. 10 novembre 2006, n. 24057; 29 settembre 2005, n. 19046; 18 dicembre 2003, n. 19427). Si è osservato in proposito che l’espressione “titolare di assegno ai sensi dell’art. 5” usata dal legislatore non può essere intesa in senso letterale ostandovi, dal punto di vista sistematico, il successivo riferimento all’attribuzione del diritto alla quota del trattamento di fine rapporto anche se questo “viene a maturare dopo la sentenza”. Tale ultima statuizione implica necessariamente che quel diritto deve ritenersi attribuibile anche ove il trattamento di fine rapporto sia maturato prima della sentenza di divorzio, ma dopo la proposizione della relativa domanda, quando ancora non possono esservi soggetti titolari dell’assegno divorzile, tali potendo divenire solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, ovvero di quella, ancora successiva, che lo abbia liquidato. La “ratio” dell’art. 12 bis è infatti quella di correlare il diritto alla quota di indennità non ancora percepita dal coniuge al quale essa spetti al diritto all’assegno divorzile, il quale in astratto sorge, ove spettante, contestualmente alla domanda di divorzio, ancorchè – di regola – esso venga costituito in concreto e divenga esigibile solo dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che lo liquidi. Ne consegue, in correlazione a tale “ratio”, che ove l’indennità di fine rapporto sia percepita dall’avente diritto dopo la domanda – singola o congiunta – di divorzio, al definitivo riconoscimento giudiziario della concreta spettanza dell’assegno deve ritenersi riconnessa, a prescindere dalla decorrenza dell’assegno di divorzio, dall’art. 12 bis l’attribuzione del diritto alla quota dell’indennità su detta, la quale potrà essere liquidata con la stessa sentenza di divorzio, ovvero in un distinto, successivo procedimento, come nel caso di specie. Vero è che l’art. 12 bis condiziona il diritto alla percentuale del trattamento di fine rapporto in questione al diritto all’assegno di divorzio e quindi, prima che tale diritto sia accertato con sentenza passata in giudicato,la domanda di attribuzione di detta percentuale non può essere accolta. Ma questa Corte ha già affermato che la relativa domanda può essere proposta nello stesso processo in cui sia domandato l’assegno di divorzio, formandosi così contestualmente il giudicato sulla spettanza di questo e della percentuale del TFR a norma dell’art. 12 bis su detto. Infatti, costituendo l’attribuzione dell’assegno di divorzio condizione dell’azione con la quale si domandi la percentuale del TFR ai sensi del detto art. 12 bis, per il suo accoglimento non è necessario che detta condizione sussista al momento della proposizione della domanda ma è sufficiente la contestuale formazione del giudicato sulle due domande.

Cass. civ., 6 giugno 2011, n. 12175

post 2011

la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell’integrità psico-fisica

poichè l’equità va intesa anche come parità di trattamento, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell’integrità psico-fisica presuppone l’adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative (come l’art. 139 del codice delle assicurazioni private, per le lesioni di lieve entità conseguenti alla sola circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto, v. Cass.civ., Sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408

post 2011

omessa vigilanza albergatore

Cass. pen., sez. IV, n. 22334, dep. 6 giugno 2011: si configura una posizione di garanzia in capo al datore di lavoro/albergatore dovendosi egli fare carico dell’omessa vigilanza sul rispetto e l’attuazione delle cautele e delle misure previste nel piano di emergenza antincendi, ivi compresa l’organizzazione della presenza suddivisa in turni di personale inquadrato nella squadra di emergenza; ne deriva la responsabilità per il reato di omicidio colposo in capo all’albergatore per la morte di persone collegata all’incendio.

risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa

In tema di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa, nel caso in cui l’articolo giornalistico riporti il contenuto di uno scritto anonimo offensivo dell’altrui reputazione, l’applicazione dell’esimente del diritto di cronaca (art. 51 cod. pen.) presuppone la prova, da parte dell’autore dell’articolo, della verità  reale o putativa dei fatti riportati nello scritto stesso (non della mera verità  dell’esistenza della fonte anonima); con la conseguenza che, laddove siffatta prova non possa essere fornita, proprio in ragione del carattere anonimo dello scritto, la menzionata esimente non può essere applicata, anche per la carenza del requisito dell’interesse pubblico alla diffusione della notizia, Cass. civ. n. 11004 del 19 maggio 2011

post 2011

l termine di dieci giorni entro il quale l’attore dev costituirsi

in caso di notificazione a più parti, il termine di dieci giorni entro il quale l’attore (ai sensi dell’art. 165 cod. proc. civ.) o l’appellante (ai sensi dell’art. 347 cod. proc. civ., che alla prima disposizione fa rinvio) devono costituirsi, decorre dalla prima notificazione, non dall’ultima … se la formula del segmento di legge processuale, la cui interpretazione è nuovamente in discussione, è rimasta inalterata, una sua diversa interpretazione non ha ragione di essere ricercata e la precedente abbandonata, quando l’una e l’altra siano compatibili con la lettera della legge, essendo da preferire e conforme ad un economico funzionamento del sistema giudiziario l’interpretazione sulla cui base si è, nel tempo, formata una pratica di applicazione stabile. Soltanto fattori esterni alla formula della disposizione di cui si discute  derivanti da mutamenti intervenuti nell’ambiente processuale in cui la formula continua a vivere, o dall’emersione di valori prima trascurati  possono giustificare l’operazione che consiste nell’attribuire alla disposizione un significato diverso, cfr. Cass., Sezioni Unite Civili, n. 10864 del 18 maggio 2011

post 2011

L’ingiuria grave richiesta ex art. 801 cod. civ.

L’ingiuria grave richiesta, ex art. 801 cod. civ., quale presupposto necessario per la revocabilità  di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale il suo significato intrinseco e l’individuazione del bene leso, si distacca, tuttavia, dalle previsioni degli artt. 594 e 595 cod. pen., e consiste in un comportamento suscettibile di ledere in modo rilevante il patrimonio morale del donante ed espressivo di un reale sentimento di avversione da parte del donatario, tale da ripugnare alla coscienza collettiva”, (Cass. civ., sez. II,31.03.2011, n. 7487)

post 2011

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