Il Tribunale di S.Angelo dei Lombardi ha ritenuto che:
Sussiste, in primo luogo, il fumus boni iuris. Ed infatti la ricorrente, con analitica documentazione, ha dimostrato la propria qualifica imprenditoriale ed il proprio volume di affari (superiore ai dieci milioni di euro annui), evidenziando di essersi avvalsa dell’operato del funzionario XXX per la migrazione delle proprie linee telefoniche a XXX dopo un’infelice esperienza con YYY. La ricorrente ha altresì depositato i “codici migrazione” ritualmente consegnatigli da YYY già nel gennaio 2011 onde consentire a XXX di effettuare correttamente l’operazione di rientro, il che tuttavia non è avvenuto nei tempi contrattualmente stabiliti (sette giorni lavorativi)….Sussiste altresì il periculum in mora. Ed invero, la giurisprudenza è univoca nell’affermare che normalmente il pericolo del verificarsi di un danno patrimoniale non costituisce un danno grave ed irreparabile, in quanto il danno patrimoniale è per sua natura sempre riparabile mediante il successivo risarcimento; è noto infatti il principio secondo cui il pregiudizio irreparabile previsto dall’art. 700 c.p.c. sussiste solo quando siano in discussione posizioni soggettive di carattere assoluto, principalmente attinenti alla sfera personale del soggetto (e spesso anche dotate di rilievo e protezione a livello costituzionale), che rendano necessario un pronto ed immediato intervento cautelare al fine di assicurarne la completa tutela (cfr. Trib. Modena, 9 luglio 2003).
Orbene, non vi è dubbio che nella presente vicenda la posizione soggettiva della ricorrente rinvenga il proprio fondamento nel diritto di iniziativa economica privata, trovando un immediato addentellato costituzionale nell’art. 41 della Carta fondamentale, laddove la condotta illecita della resistente costituisce un vulnus alla necessità della comunicazione – anche e soprattutto telematica – della ricorrente (la cui compiuta efficienza costituisce una ineludibile necessità degli odierni traffici commerciali; ne è riprova – ad abundantiam ed in via esemplificativa – la recente presentazione di un disegno di legge costituzionale – n. 2485 – dal seguente tenore: “Dopo l’articolo 21 della Costituzione è inserito il seguente: «Art. 21-bis. Tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire le violazioni dei diritti di cui al Titolo I della parte I.»”). L’impossibilità di comunicare telefonicamente incide quindi in maniera significativa sulle modalità di svolgimento dell’attività imprenditoriale della ricorrente (si pensi, ad esempio, all’impossibilità o quantomeno alla maggiore difficoltà di effettuare o di ricevere commesse, anche via Internet), la quale si trova esposta al rischio di perdita di clientela o comunque di ritardi e difficoltà nella gestione dei propri rapporti commerciali, con conseguente necessità di tutela giurisdizionale immediata. La ricorrente ha altresì domandato corredarsi la condanna giudiziale di un provvedimento di coercizione indiretta ex art. 614-bis c.p.c., come introdotto dalla legge n. 69/2009.
La richiesta – invero sottratta al potere officioso del giudice e rimessa all’impulso di parte – va accolta, dal momento che la condanna accessoria costituisce un indubbio stimolo per la re-sistente al sollecito adempimento del comando giurisdizionale, scongiurando altresì il rischio di un successivo contenzioso (in termini, Trib. Cagliari, 19 ottobre 2009). Nel caso di specie, peraltro, tale istituto acquisisce un decisivo rilievo in quanto l’ordine giurisdizionale di riattivazione delle linee telefoniche non è suscettibile di esecuzione forzata, giacché l’attività di ripristino non può concretamente prescindere dal comportamento attivo del gestore del servizio telefonico. Né l’ampiezza della dizione normativa (“Con il provvedimento di condanna …”) consente di escludere dal proprio alveo applicativo i provvedimenti a natura cautelare anticipatoria, tanto più ove gli stessi racchiudano – come nella presente vicenda – un ordine di prestazione (cfr. Trib. Varese, 16 febbraio 2011). L’art. 614-bis c.p.c. fornisce altresì i parametri di riferimento per la quantificazione della somma dovuta: “Il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile”. Orbene, alla luce di siffatti criteri e tenendo conto, soprattutto, del perdurante inadempi-mento della resistente, la quale non ha prestato esecuzione al decreto reso inaudita altera parte con ciò frustrando l’autorità delle decisioni giudiziarie (il che esclude qualsiasi iniquità), ritiene questo Giudice di quantificare in euro 50,00 per ogni giorno di ritardo nell’attivazione delle linee telefoniche la somma di denaro da corrispondersi dalla resistente in favore della ricorrente.
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