in tema di Responsabilità degli enti la condanna scatta anche se il reato del manager è prescritto; a statuirlo è la sentenza di Cass.pen. n. 20060 del 9 maggio 2013, con cui i giudici della Cassazione hanno chiarito anche che la sanzione può, nondimeno, essere applicata quando è impossibile, nelle grandi realtà societarie, individuare un responsabile materiale.
Categoria: penale
dovere di informazione in materia di feto malformato
Non v’ha dubbio che il primo bersaglio dell’inadempimento del medico è il diritto dei genitori di essere informati, al fine, indipendentemente dall’eventuale maturazione delle condizioni che abilitano la donna a chiedere l’interruzione della gravidanza, di prepararsi psicologicamente e, se del caso, materialmente, all’arrivo di un figlio menomato… nascendo perciò la legittimità della richiesta di risarcimento dei danni derivanti dalla nascita, e dunque del danno biologico e del danno economico… quindi la richiesta dei corrispondenti pregiudizi deve ritenersi consustanzialmente insita nella domanda di risarcimento dei danni derivati dalla nascita, quali il danno biologico in tutte le sue forme e il danno economico, che di quell’inadempimento sia conseguenza immediata e diretta in termini di causalità adeguata.
Cassazione civile, sez. III, sentenza 22 marzo 2013 n. 7269
l’incostituzionalità travolge il giudicato in un caso di circostanze del reato
Il principio generale per cui la declaratoria di incostituzionalità, incidente fin dalla sua originaria vigenza sulla norma penale eliminata dall’ordinamento, rendendola inapplicabile ai rapporti giuridici in corso con effetti invalidanti assimilabili all’annullamento (Corte Cost. sentenza n. 127/1996), rinviene una eccezione in materia penale sino a travolgere lo stesso giudicato (art. 30, comma 4, legge 11 marzo 1953 n. 87: “quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali”)…
….se il ridetto principio è pacificamente applicabile alle sole disposizioni penali sostanziali, deve convenirsi che nella nozione di norma penale sostanziale, può sussumersi ogni ipotesi o situazione in cui “sia stabilita la sanzione penale per un aspetto dell’agire umano, essendo indifferente – da questo punto di vista che la norma disciplini un autonomo titolo di reato o una circostanza del reato (Cassazione n. 26899/2012)”.
per tali ragioni la Cassazione ha annullato, con rinvio, limitatamente al processo di determinazione della pena, la condanna ad un uomo per reati legati agli stupefacenti “affinché in un nuovo giudizio sul punto siano adeguatamente vagliati gli effetti derivanti dalla dichiarata illegittimità costituzionale parziale del divieto previsto dall’art. 69 co. 4 c.p. (Coste. Cost. sentenza n. 251/2012) in correlazione con la attenuante del fatto di lieve entità ex art. 73 co. 5 LS. già riconosciuta al ricorrente imputato.
così Cassazione penale sentenza 21982/2013
no alla misura della custodia cautelare in carcere per il tossicodipendente in assenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza
ad avviso della Cassazione penale (sentenza n. 18969 del 30 aprile 2013) vige il principio che esclude il mantenimento della misura della custodia cautelare in carcere per il tossicodipendente in assenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza che si traducano in un consistente pericolo per la collettività.
Insomma: il mantenimento della misura custodiale deve essere imposto da esigenze cautelari di eccezionale rilevanza che non coincidono con una normale situazione di pericolosità, ma si identificano in una esposizione al pericolo dell’interesse di tutela della collettività di tale consistenza da non risultare compensabile rispetto al valore sociale rappresentato dal recupero del soggetto tossicodipendente, valutato anche in termini di probabilità.
la Cassazione sul caso Aldrovandi
dato l’interesse mediatico che si unisce a quello giuridico, con particolare riferimento alle contestate condotte di omicidio colposo per erronee modalità di “contenimento”, si allega leggibile in pdf la sentenza della Cassazione sul caso Aldrovandi
liberazione anticipata: condotte anche successive al semestre detentivo possono assumere rilevanza negativa ma con congrua motivazione
…Questa Corte suprema di cassazione ha fissato i principi di diritto, ormai consolidati, secondo i quali in tema di liberazione anticipata, la valutazione frazionata per semestri del comportamento del condannato non deve essere intesa in senso rigido, giacchè l’accertamento della rispondenza al trattamento rieducativo, anche se legislativamente legato a siffatta cadenza temporale, implica un giudizio sulla disponibilità del soggetto i cui sintomi devono necessariamente ricavarsi da un esame complessivo della personalità secondo i principi sanciti dall’articolo 13 dell’Ordinamento Penitenziario, sicchè condotte anche successive, non comprese nel semestre o nei semestri scrutinati, possono assumere rilevanza negativa – alla stregua dei criteri della gravi-là. del comportamento e della contiguità o prossimità temporale – quali “indici della mancanza di reale disponibilità al trattamento per l’intero arco di tempo” (v. per tutte Sez. 1, n. 6615 M 11/12/1996 dep. 27/02/1997, P.M. in proc. Tollais, Rv. 206971 e, da ultimo, Sez. 1, n. 983 del 22/11/2011 – dep. 13/01/2012, Palamara, Rv. 251677); ma, in tal caso, incombe al giudice di merito il dovere di indicare puntualmente i motivi in base ai quali detta condotta viene a proiettare i propri effetti oltre il periodo semestrale in cui si è realizzata (Sez. 1, n. 777 del 06/02/1996 – dep. 12/03/1996, Galeandro, Rv. 203990), con valutazione approfondita in ordine ai connotati di gravità concretamente ravvisati nei fatti ai quali viene attribuita valenza negativa retroattiva (Sez. 1, n. 5819 del 22/10/1999 – dep. 04/01/2000, Signoriello, Rv. 215119). Orbene, nella specie, il Tribunale di sorveglianza non ha dato conto di siffatta doverosa disamina, in quanto dal provvedimento impugnato neppure è dato desumere il titolo del reato o dei reati, commessi dal condannato dopo i semestri in valutazione, nè l’epoca della commissione. Conseguono l’annullamento della ordinanza impugnata e il rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di sorveglianza di Napoli, il quale si uniformerà ai principi di diritto richiamati che questa Corte suprema di cassazione enuncia ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 2.
Cass. pen., Sez. I, 5.2.2013, n. 5738
una volta che il giudice abbia accolto la richiesta di archiviazione proposta dal pubblico ministero deve disporre anche della sorte delle cose sequestrate
…Secondo il principio statuito dalle sezioni unite di questa corte nell’anno 2002 (Cass., Sez. Un., n. 25161/2002, Rv. 221660), la competenza a deliberare sulla richiesta di anticipazione o liquidazione finale del compenso presentata dal custode di cose sequestrate nell’ambito di procedimento penale appartiene, nella fase successiva alla sentenza irrevocabile, al giudice dell’esecuzione; nella fase delle indagini preliminari al pubblico ministero il quale provvede con decreto motivato, nel corso del giudizio di cognizione al giudice che ha la disponibilità del procedimento il quale provvede de plano, osservandosi, in tutti i casi, le forme stabilite per il procedimento di esecuzione a norma dell’art. 666 c.p.p.. Leggi tutto “una volta che il giudice abbia accolto la richiesta di archiviazione proposta dal pubblico ministero deve disporre anche della sorte delle cose sequestrate”
ammissibile l’impugnazione della parte civile anche quando richieda la generica condanna
…allorché la parte civile impugni una sentenza di proscioglimento che non abbia accolto le sue conclusioni, chiedendo la riforma di tale pronunzia, l’atto di impugnazione, ricorrendo le altre condizioni, è ammissibile anche quando non contenga l’indicazione che l’atto stesso è proposto ai soli effetti civili, discendendo tale effetto direttamente dall’art. 576 c.p.p…
Cass., Sez. un., 8 febbraio 2013, n. 6509
il solo superamento delle quantità di droga non dimostra lo spaccio
…Va, allora, riaffermata la applicabilità delle comuni regole probatorie anche nella materia della detenzione di stupefacenti a fini di spaccio, dovendosi escludere che la relativa norma incriminatrice introduce una qualsiasi forma di prova legale, in particolare di presunzione di colpevolezza, come pure talora è stato affermato quale conseguenza della previsione di “dosi medie” individuate per ciascuno stupefacente; il superamento delle quantità predette da parte del detentore di droga non dimostra, di per sè, che la droga sia destinata all’uso di terzi…
Cass.pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 48
il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore
Cass., sez. Lav., 4 febbraio 2013, n. 2512 :
…Si è, infatti, affermato (Cass. Sez. Lav. n. 1994 del 13/2/2012) che “il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell’integrità fisica del lavoratore, è interamente responsabile dell’infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggere l’incolumità di quest’ultimo nonostante la sua imprudenza o negligenza; pertanto, la condotta imprudente del lavoratore attuativa di uno specifico ordine di servizio, integrando una modalità dell’iter produttivo del danno imposta dal regime di subordinazione, va addebitata al datore di lavoro, il quale, con l’ordine di eseguire un’incombenza lavorativa pericolosa, determina l’unico efficiente fattore causale dell’evento dannoso”.
Si è, altresì, statuito (Cass. sez. lav. n. 4656 del 25/2/2011) che “le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l’imprenditore, all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento, essendo necessaria, a tal fine, una rigorosa dimostrazione dell’indipendenza del comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro, e, con essa, dell’estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere”.
Orbene, nella fattispecie l’indagine compiuta dalla Corte di merito in maniera esente da vizi di natura logico-giuridica ha consentito di accertare, al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente, non solo la responsabilità di quest’ultima in ordine al grave infortunio occorso al lavoratore, per effetto del quale il medesimo subì la perdita di un occhio, ma anche un concorso di colpa del preposto B. , per cui se ne deduce che correttamente i giudici d’appello sono giunti alla conclusione che nessun elemento di colpa era ravvisabile nel comportamento del lavoratore in merito alla produzione dell’evento lesivo verificatosi in suo danno, dal momento che questi non aveva fatto altro che ubbidire a precise direttive datoriali tramite gli ordini del preposto B…
…Quanto al secondo rilievo, concernente la dedotta questione del divieto di cumulo degli accessori, si osserva che questa Corte ha già chiarito (Cass. Sez. Lav. n. 14507 dell’1/7/2011) che “la domanda proposta dal lavoratore contro il datore di lavoro volta a conseguire il risarcimento del danno sofferto per la mancata adozione, da parte dello stesso datore, delle misure previste dall’art. 2087 cod. civ., non ha natura previdenziale perché non si fonda sul rapporto assicurativo configurato dalla normativa in materia, ma si ricollega direttamente al rapporto di lavoro, dando luogo ad una controversia di lavoro disciplinata quanto agli accessori del credito dal secondo comma dell’art. 429 cod. proc. civ.. Ne consegue che non opera il divieto di cumulo di interessi e rivalutazione stabilito per i crediti previdenziali dall’ari 16, sesto comma, della legge n. 412 del 1991″. (conforme a Cass. Sez. Lav. n. 3213 del 18/2/2004)…