La violenza si manifesta spesso con l’ “insistenza”: il reato di stalking a tre anni (o poco più) dalla sua introduzione

La violenza si manifesta spesso con l’ “insistenza”: il reato di stalking a tre anni (o poco più) dalla sua introduzione

a cura di www.studiolegaledesia.com

Ragioni di emergenza sociale, e di cronaca quotidiana, indussero il legislatore ad introdurre circa tre anni fa il reato di c.d. stalking; l’introduzione avvenne col cosiddetto “Decreto sicurezza” approvato con Decreto Legge 23 febbraio 2009, n. 11 (e convertito nella legge 23 aprile 2009, n. 38).

Oggi, perciò, abbiamo nel nostro codice penale l’art. 612bis intitolato: Atti persecutori. La norma prevede che: Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

In questi anni molti sono stati gli interventi dei giudici, che hanno così posto rimedio (con condanne speso esemplari) a casi noti nella cronaca di tutti i giorni: si pensi, ad esempio, al caso classico dell’ex fidanzato che, non rassegnatosi alla fine del rapporto, rendeva la vita impossibile all’ex compagna, od al caso di colui che per semplice cattiveria molestava altro soggetto impedendogli di condurre una vita normale.

In particolare, può parlarsi di atti persecutori allorché ricorrano cumulativamente i seguenti elementi: a) sussistenza di condotte reiterate di minaccia o molestia nei confronti di taluno; b) insorgenza nella vittima di uno stato d’animo di ansia, di paura o di timore per l’incolumità propria o di un congiunto ovvero alterazione delle sue abitudini di vita; c) sussistenza di un nesso di causalità fra la condotta del persecutore e lo stato d’animo o l’alterazione delle abitudini di vita della vittima.

Nel reato di stalking, la pressione psicologica legata alla “coazione” comportamentale dello stalker (il quale agisce nei confronti di una persona che è designata come vittima in virtù di un investimento ideoaffettivo, basato su una situazione relazionale, spesso solo ideale, ma che può essere anche reale) e al terrorismo psicologico effettuato, pongono la vittima in uno stato di allerta, di emergenza e di stress psicologico. Questi vissuti psicologici sono legati sia alla percezione dei comportamenti persecutori come sgraditi, intrusivi e fastidiosi, che alla preoccupazione e all’angoscia derivanti dalla paura per la propria incolumità.

Il reato di stalking si configura, però, solo a fronte delle reiterate condotte di minacce e molestie idonee a cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura nella vittima ovvero un fondato timore per la propria incolumità o per quella delle persona vicine, sino a costringere la vittima a modificare le sue abitudini di vita. Ma perché possa parlarsi di reiterazione, sono sufficienti anche due sole condotte senza che, per la sussistenza del reato è necessaria la loro contestuale realizzazione. Ciò che rileva è che la condotta di minaccia e di molestia dia luogo alla causazione di grave e perdurante stato di ansia o di paura nella vittima, intimorendola per la propria incolumità sino a costringerla a modificare le proprie abitudini di vita.

Integrano l’elemento materiale del delitto di atti persecutori le condotte riconducibili alle categorie del c.d. stalking vigilante (controllo sulla vita quotidiana della vittima), del c.d. stalking comunicativo (consistente in contatti per via epistolare o telefonica, sms, scritte su muri ed altri messaggi in luoghi frequentati dalla persona offesa) e del c.d. cyberstalking, costituito dall’uso di tutte quelle tecniche di intrusione molesta nella vita della vittima rese possibili dalle moderne tecnologie informatiche e, segnatamente, dai social network.

Insomma: il soggetto che pone in essere molestie perpetrate attraverso l’invio di messaggi di posta elettronica, sms e messaggi attraverso “social network”, determinando uno stato di ansia nella vita quotidiana della vittima, risponde del reato di stalking.

La prova del fatto-reato può essere data in qualsiasi modo, anzi in giurisprudenza si è detto che la deposizione testimoniale della persona offesa, ai fini dell’accertamento del reato di stalking, può essere assunta anche da sola come fonte di prova della colpevolezza, ove venga sottoposta ad una indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l’ha resa. In tale contesto processuale, invero, il più delle volte l’accertamento dei fatti dipende necessariamente dalla valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e persona offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall’esterno, all’una o all’altra tesi.

Quest’ultima posizione giurisprudenziale, tuttavia, appare abbastanza pericolosa; perché presta il fianco alla possibilità di denunciare taluno per stalking per mera vendetta od antipatia (od altri biasimevoli motivi), e perciò ci sembra che il narrato della denunciante debba sempre essere affiancato da un (qualsivoglia) elemento di riscontro.

Quanto al resto, invece, ci sembra davvero una utilissima previsione normativa quella dell’art. 612bis del codice penale, perché consente finalmente di punire coloro i quali con i loro assillanti comportamenti creanoansia o di paura ad altri oppure il timore per l’incolumità propria o di parenti o amici del molestato, oppure, ancora peggio, costringono il molestato a cambiare le proprie abitudini di vita.

Molto interessante è, infine, l’istituto del c.d. Ammonimento, inserito con l’art. 8 del medesimo decreto legge che ha inserito il reato di stalking; esso consiste nella possibilità, fino a quando non è proposta querela, per la persona offesa di esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. In tal caso, recita la norma: Il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti e’ stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale.

Ad ammonimento avvenuto, laddove il molestatore prosegua nelle sue condotte e laddove venga condannato a seguito di processo penale, la pena per il delitto di cui all’articolo 612bis del codice penale è aumentata (proprio perché il fatto è commesso da soggetto già “ammonito”).

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