l’accordo prematrimoniale sulle sorti dell’abitazione

Cass.civ., sez. I, 14 novembre 2012 (dep. 21 dicembre 2012), n. 23713

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 14 dicembre 2005 il Tribunale di Macerata dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra P.M. e O.L.; affidava alla madre i figli minori, ponendo a carico del padre un contributo periodico al loro mantenimento; rigettava altresì la domanda riconvenzionale dell’O., volta ad ottenere sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. per la esecuzione in forma specifica dell’impegno assunto, con scrittura privata, della P., prima del matrimonio, di trasferire all’O. stesso la proprietà di immobile, in caso di ‘‘fallimento’’ del matrimonio stesso.
Avverso tale sentenza, proponeva appello l’O., limitando il gravame alla questione della validità ed eseguibilità del predetto impegno, assunto dalla moglie. Costituitasi, la P. chiedeva rigettarsi l’appello. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza in data 28/02/2007 – 14/03/2007, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Macerata, dichiarava valido ed efficace, nei confronti dell’O., il predetto impegno negoziale della P., omettendo peraltro pronuncia ex art. 2932 c.c., ed invitando la parte interessata ad attivarsi, al riguardo, in separata sede.
Ricorre per cassazione la P.
Non svolge attività difensiva l’O. Leggi tutto “l’accordo prematrimoniale sulle sorti dell’abitazione”

ABUSIVO ESERCIZIO PROFESSIONE DI PSICOLOGO E PSICOTERAPEUTA

Tribunale di Salerno, Sezione distaccata di Cava de’ Tirreni, 19 febbraio 2009, Giud. Riccardi, Imp. Bove

DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DELITTI DEI PRIVATI CONTRO LA P.A. – ABUSIVO ESERCIZIO DI UNA PROFESSIONE – PROFESSIONE DI PSICOLOGO E PSICOTERAPEUTA – ELEMENTO OGGETTIVO DEL REATO – CONDOTTA.

Sussiste il delitto di esercizio abusivo della la professione di psicologo e psicoterapeuta allorquando l’agente non soltanto millanti l’inesistente qualifica ma, altresì, pratichi concretamente l’attività di psicoterapia nei confronti di ignari pazienti. La condotta delittuosa consiste nell’adoperare le tecniche tipiche della psicoterapia – dalle impostazioni più strettamente espressive, dirette all’introspezione ed alla comprensione dell’Io profondo, alle impostazioni più supportive, dirette al sostegno dell’Io cosciente, anche mediante coinvolgimento in attività ricreative –, abusando del proprio ruolo, ed anche della propria esperienza empirica, per praticare attività che sono riservate agli psicologi ed agli psicoterapeuti.

In particolare, ciò che connota l’attività di psicoterapia sono essenzialmente il ‘fine di guarire’, lo scopo terapeutico ed i metodi adoperati, consistenti soprattutto nelle forme del ‘colloquio’; in sostanza, commette il reato di esercizio abusivo della professione medica chiunque esprima giudizi diagnostici e consigli, ed appresti le cure al malato. Da tale condotta non è esclusa la psicoterapia, giacché la professione in parola è caratterizzata dal fine di guarire e non già dai mezzi scientifici adoperati; e l’attività di dialogo con i propri clienti, volta a chiarire gli eventuali disturbi di natura psicologica ed anche a fornire consigli, svolta da un pranoterapeuta, prima della fase della “seduta” relativa alla pranoterapia, costituisce un’attività di diagnosi e di terapia .

DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DELITTI DEI PRIVATI CONTRO LA P.A. – ABUSIVO ESERCIZIO DI UNA PROFESSIONE – PROFESSIONE DI PSICOLOGO E PSICOTERAPEUTA – ELEMENTO SOGGETTIVO DEL REATO – DOLO.

Sussiste il dolo della fattispecie del delitto di esercizio abusivo della professione di psicologo e psicoterapeuta allorquando l’agente abbia conoscenza dei problemi di natura psicologica vissuti dall’ignaro paziente, e, conoscendo (o dovendo conoscere) i confini della sua professione (nel caso di specie assistente sociale) non può ignorare che, nel prendere in cura un paziente con questo genere di problemi, entra inequivocabilmente, e senza possibilità di dubbio anche soggettivo, nel campo riservato agli psicologi.

DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO – DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO COMMESSI MEDIANTE FRODE – TRUFFA – CONDOTTA CONSISTENTE NELLO SPACCIARSI MEDICO ESERCENTE L’ATTIVITÀ DI PSICOLOGO E PSICOTERAPEUTA.

Sussiste il reato di truffa di cui all’art. 640 c.p. allorquando il soggetto agente, nel recarsi al primo incontro presso la famiglia del malato di mente, si accrediti come medico e come psicoterapeuta, esperto in psicoterapia. Tale condotta, che è idonea a trarre in inganno il paziente ed i suoi familiari, ingenera nella vittima un falso affidamento sulle qualità e sulle qualifiche professionali dell’agente ed è ciò che induce la persona offesa a versamenti continui e cospicui di somme di denaro eccessive anche per qualsiasi forma di legittima psicoterapia.

Riferimenti normativi: articolo 348 c.p., articolo 640 c.p., legge 18 febbraio 1989, n. 56.

danno da mancato rilascio dell’immobile locato: il maggior danno si prova anche presuntivamente!

…Va infatti posto in rilievo, in linea di principio, che la responsabilità del conduttore a norma dell’art. 1591 c.c., per ritardata restituzione dell’immobile locato ha natura contrattuale con la conseguenza che il locatore, in applicazione del principio dettato dall’art. 1218 c.c. deve provare il danno derivatogli dalla ritardata restituzione con l’ulteriore effetto che per il c.d.maggior danno è il locatore a dovere fornire la prova della lesione del suo patrimonio, consistente nel non avere potuto dare in locazione il bene per un canone più elevato o nella perdita di occasioni di vendita ad un prezzo più vantaggioso o nella perdita di altre analoghe situazioni vantaggiose.
Questa prova deve avere il carattere della rigorosità sia in ordine alla sua sussistenza che al suo concreto ammontare sul presupposto che l’obbligo risarcitorio non sorge anteriormente in base al valore locativo presumibilmente riconoscibile dall’astratta configurabilità dell’ipotesi di locazione o vendita del bene, ma va accertato in relazione alle concrete condizioni e caratteristiche dell’immobile stesso, alla sua ubicazione, alla sua possibilità di utilizzo, onde fare emergere il verificarsi di una lesione patrimoniale effettiva e reale nel patrimonio del locatore, dimostrabile attraverso la prova di ben precise proposte di locazione o di acquisto ovvero di altre concrete offerte di utilizzazione. Tuttavia, se non è sufficiente che il locatore si limiti a dedurre che il bene locato era suscettibile di impiego tale da garantirgli un risultato economico migliore rispetto al canone originariamente e non corrisposto, per cui ha ottenuto la risoluzione del contratto stipulato con il conduttore (v. per quanto valga Cass. n. 10485/01 e puntuale Cass. n. 13294/02), la richiesta del maggior danno da parte del locatore medesimo per la mancata disponibilità del bene può essere provata secondo le regole ordinarie e, quindi, anche con presunzioni, avendo presente che la carenza di specifiche proposte di locazione relative a quell’immobile è obiettivamente giustificabile i proprio alla luce della persistente occupazione del bene da parte del conduttore, successivamente alla scadenza del rapporto (Cass. n. 1372/12)…

Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-10-2012, n. 18499

l’organizzatore e il venditore di pacchetti turistici sono responsabili anche della condotta colposa del terzo prestatore

   
Cass. civ. Sez. III, Sent., 11-12-2012, n. 22619  

…l’organizzatore e il venditore di pacchetti turistici, la cui rispettiva obbligazione è senz’altro di risultato (v. Cass., 3/12/2009, n. 25396; Cass., 9/11/2004, n. 21343), sono tenuti all’adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili, in relazione alla natura della rispettiva attività esercitata, volto all’adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell’interesse creditorio del turista-consumatore di pacchetti turistici, nonchè ad evitare possibili eventi dannosi.

In caso di mancato o inesatto adempimento delle prestazioni oggetto del c.d. pacchetto turistico o package, sono pertanto tenuti a dare la prova che il risultato “anomalo” o anormale rispetto al convenuto esito della propria prestazione professionale, e quindi dello scostamento da una legge di regolarità causale fondata sull’esperienza, dipende da fatto ad essi non imputabile, in quanto non ascrivibile alla condotta mantenuta in conformità alla diligenza dovuta, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto.

E laddove tale prova non riescano a dare, secondo la regola generale ex artt. 1218 e 2697 c.c. i medesimi rimangono soccombenti.

Va posto d’altro canto in rilievo che ai sensi del D.Lgs. n. 111 del 1995, artt. 14 ss. l’organizzatore e il venditore di pacchetti turistici sono tenuti a risarcire qualsiasi danno subito dal consumatore a causa della fruizione del pacchetto turistico, anche se la responsabilità sia ascrivibile esclusivamente ad altro prestatore di servizi, salvo il diritto di rivalersi nei confronti di costui (v., con riferimento al vettore, Cass., 10/9/2010, n. 19283; Cass., 29/2/2008, n. 5531).

Come sottolineato anche in dottrina, nel superare i distinguo previsti con riferimento al contratto di organizzazione o di intermediazione di viaggio (CCV) di cui alla Convenzione di Bruxelles del 23 dicembre 1970, ai sensi dell’art. 5 Direttiva n. 90/314/CEE e D.Lgs. n. 111 del 1995, artt. 14 ss. l’organizzatore e il venditore di pacchetti turistici rispondono per il mancato o inesatto adempimento sia delle prestazioni direttamente eseguite che di quelle effettuate da prestatori di servizi della cui opera comunque si avvalgano per l’adempimento della prestazione da essi dovuta.

Trattasi di responsabilità la cui fonte riposa nella regola generale di cui agli artt. 1228 e 2049 c.c., in base alla quale il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro (v. Cass., 24/5/2006, n. 12362; Cass., 4/3/2004, n. 4400; Cass., 8/1/1999, n. 103), ancorchè non siano alle sue dipendenze (v. Cass., 21/2/1998, n. 1883; Cass., 20/4/1989, n. 1855).

La responsabilità per fatto dell’ausiliario (e del preposto) prescinde infatti dalla sussistenza di un contratto di lavoro subordinato, essendo irrilevante la natura del rapporto tra i medesimi sussistente ai fini considerati, fondamentale rilevanza viceversa assumendo la circostanza che dell’opera del terzo il debitore comunque si avvalga nell’attuazione della sua obbligazione, ponendo la medesima a disposizione del creditore (v., da ultimo, con riferimento a diversa fattispecie, Cass., 26/5/2011, n. 11590), sicchè la stessa risulti a tale stregua inserita nel procedimento esecutivo del rapporto obbligatorio.

La responsabilità che dall’esplicazione dell’attività di tale terzo direttamente consegue in capo all’organizzatore e al venditore di un pacchetto turistico riposa allora sul principio cuius commoda eius et incommoda, o, più precisamente, dell’appropriazione o avvalimento dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione, comportante l’assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino.

Nè, al fine di considerare interrotto il rapporto in base al quale l’organizzatore o venditore di un pacchetto turistico è chiamato a rispondere, vale distinguere tra comportamento colposo e comportamento doloso del soggetto agente (che della responsabilità del primo costituisce il presupposto), essendo al riguardo sufficiente (in base a principio che trova applicazione sia nella responsabilità contrattuale che in quella extracontrattuale) la mera occasionalità necessaria (v. Cass., 17/5/2001, n. 6756; Cass., 15/2/2000, n. 1682).

Il debitore risponde quindi direttamente di tutte le ingerenze dannose che al dipendente o al terzo preposto della cui opera comunque si avvale sono rese possibili dalla posizione conferitagli rispetto al creditore/danneggiato, e cioè dei danni che può arrecare in ragione di quel particolare contatto cui si espone nei suoi confronti il creditore (nel caso, turista-consumatore di pacchetto turistico).

Diversamente che per la suindicata disciplina relativa al contratto di organizzazione o di intermediazione di viaggio (CCV) di cui alla Convenzione di Bruxelles del 23 dicembre 1970 (cfr. Cass., 27/6/2007, n. 14837; Cass., 27/10/2004, n. 20787; Cass., 24/5/1997, n. 4636; Cass., 6/11/1996, n. 9643), la responsabilità dell’organizzatore e del venditore di pacchetti turistici trova allora fondamento non già nella colpa nella scelta degli ausiliari o nella vigilanza (giusta differente modello di responsabilità, proprio di altre esperienze, invero non accolto in termini generali nel nostro ordinamento) bensì nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento dell’obbligazione (cfr., con riferimento a diversi ambiti professionali, Cass., 13/4/2007 Cass., 17/5/2001, n. 6756; Cass., 30/12/1971, n. 3776. V. anche Cass., 4/4/2003, n. 5329), fondamentale rilevanza assumendo -come detto- la circostanza che dell’opera del terzo essi comunque si avvalgano nell’attuazione della prestazione dovuta.

Il tour operator è pertanto direttamente responsabile allorquando l’evento dannoso risulti come nella specie da ascriversi alla condotta colposa del terzo prestatore (nel caso, conducente di taxi) della cui attività comunque si sia avvalso, essendo tenuto al risarcimento dei danni sofferti dal turista-consumatore di pacchetto turistico in conseguenza della medesima, salvo in ogni caso il suo diritto di rivalsa nei confronti del prestatore medesimo (D.Lgs. n. 111 del 1995, art. 14, comma 2)…

una sintesi delle ragioni dell’illegittimità costituzionale della mediazione obbligatoria

12.1.— Si deve premettere che, come questa Corte ha più volte affermato, «Il controllo della conformità della norma delegata alla norma delegante richiede un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli, l’uno relativo alla norma che determina l’oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega; l’altro relativo alla norma delegata da interpretare nel significato compatibile con questi ultimi.
Il contenuto della delega deve essere identificato tenendo conto del complessivo contesto normativo nel quale si inseriscono la legge delega e i relativi principi e criteri direttivi, nonché delle finalità che la ispirano, che costituiscono non solo base e limite delle norme delegate, ma anche strumenti per l’interpretazione della loro portata. La delega legislativa non esclude ogni discrezionalità del legislatore delegato, che può essere più o meno ampia, in relazione al grado di specificità dei criteri fissati nella legge delega: pertanto, per valutare se il legislatore abbia ecceduto tali margini di discrezionalità, occorre individuare la ratio della delega, per verificare se la norma delegata sia con questa coerente» (ex plurimis: sentenze n. 230 del 2010, n. 98 del 2008, nn. 340 e 170 del 2007).
In particolare, circa i requisiti che devono fungere da cerniera tra i due atti normativi, «i principi e i criteri direttivi della legge di delegazione devono essere interpretati sia tenendo conto delle finalità ispiratrici della delega, sia verificando, nel silenzio del legislatore delegante sullo specifico tema, che le scelte del legislatore delegato non siano in contrasto con gli indirizzi generali della stessa legge delega» (sentenza n. 341 del 2007, ordinanza n. 228 del 2005). Leggi tutto “una sintesi delle ragioni dell’illegittimità costituzionale della mediazione obbligatoria”

sulla prova della notifica del ricorso per cassazione

Cass. civ. VI – 3, Ord., 08-11-2012, n. 19387:

Trova applicazione al caso di specie il principio, espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “La produzione dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia del ricorso per cassazione spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale ai sensi dell’art. 149 cod. proc. civ., o della raccomandata con la quale l’ufficiale giudiziario da notizia al destinatario dell’avvenuto compimento delle formalità di cui all’art. 140 cod. proc. civ., è richiesta dalla legge esclusivamente in funzione della prova dell’avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio e, dunque, dell’avvenuta instaurazione del contraddittorio. Ne consegue che l’avviso non allegato al ricorso e non depositato successivamente può essere prodotto fino all’udienza di discussione di cui all’art. 379 cod. proc. civ., ma prima che abbia inizio la relazione prevista dal comma 1 della citata disposizione, ovvero fino all’adunanza della corte in camera di consiglio di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ., anche se non notificato mediante elenco alle altre parti ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 2. In caso, però, di mancata produzione dell’avviso di ricevimento, ed in assenza di attività difensiva da parte dell’intimato, il ricorso per cassazione è inammissibile, non essendo consentita la concessione di un termine per il deposito e non ricorrendo i presupposti per la rinnovazione della notificazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.; tuttavia, il difensore del ricorrente presente in udienza o all’adunanza della corte in camera di consiglio può domandare di essere rimesso in termini, ai sensi dell’art. 184-bis cod. proc. civ., per il deposito dell’avviso che affermi di non aver ricevuto, offrendo la prova documentale di essersi tempestivamente attivato nel richiedere all’amministrazione postale un duplicato dell’avviso stesso, secondo quanto previsto dalla L. n. 890 del 1982, art. 6, comma 1″ (Cass. S.U. n. 627/08)….

Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali: DDL approvato dalla Camera dei Deputati il 27/11/2012

Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali

DDL approvato dalla Camera dei Deputati il 27/11/2012

Art. 1.

(Disposizioni in materia di filiazione).

1. L’articolo 74 del codice civile è sostituito dal seguente:

«Art. 74. – (Parentela). – La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti».

2. All’articolo 250 del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il primo comma è sostituito dal seguente:

«Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall’articolo 254, dalla madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente»;

b) al secondo comma, le parole: «sedici anni» sono sostituite dalle seguenti: «quattordici anni»;

c) al terzo comma, le parole: «sedici anni» sono sostituite dalle seguenti: «quattordici anni»;

d) il quarto comma è sostituito dal seguente:

«Il consenso non può essere rifiutato se risponde all’interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell’altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente, che fissa un termine per la notifica del ricorso all’altro genitore. Se non viene proposta opposizione entro trenta giorni dalla notifica, il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso mancante; se viene proposta opposizione, il giudice, assunta ogni opportuna informazione, dispone l’audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, ove capace di discernimento, e assume eventuali provvedimenti provvisori e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che l’opposizione non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti opportuni in relazione all’affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell’articolo 315-bis e al suo cognome ai sensi dell’articolo 262»;

e) al quinto comma sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, salvo che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio».

3. L’articolo 251 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 251. – (Autorizzazione al riconoscimento). – Il figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio.

Il riconoscimento di una persona minore di età è autorizzato dal tribunale per i minorenni».

4. Il primo comma dell’articolo 258 del codice civile è sostituito dal seguente:

«Il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso».

5. L’articolo 276 del codice civile è sostituito dal seguente:

«Art. 276. – (Legittimazione passiva). – La domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità naturale deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in sua mancanza, nei confronti dei suoi eredi. In loro mancanza, la domanda deve essere proposta nei confronti di un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso.

Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse».

5. La rubrica del titolo IX del libro primo del codice civile è sostituita dalla seguente: «Della potestà dei genitori e dei diritti e doveri del figlio».

6. L’articolo 315 del codice civile è sostituito dal seguente:

«Art. 315. – (Stato giuridico della filiazione). – Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico».

8. Dopo l’articolo 315 del codice civile, come sostituito dal comma 7 del presente articolo, è inserito il seguente:

«Art. 315-bis. – (Diritti e doveri del figlio). – Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.

Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti.

Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.

Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle

proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa».

9. Nel titolo XIII del libro primo del codice civile, dopo l’articolo 448 è aggiunto il seguente:

«Art. 448-bis. – (Cessazione per decadenza dell’avente diritto dalla potestà sui figli). – Il figlio, anche adottivo, e, in sua mancanza, i discendenti prossimi non sono tenuti all’adempimento dell’obbligo di prestare gli alimenti al genitore nei confronti del quale è stata pronunciata la decadenza dalla potestà e, per i fatti che non integrano i casi di indegnità di cui all’articolo 463, possono escluderlo dalla successione».

10. È abrogata la sezione II del capo II del titolo VII del libro primo del codice civile.

11. Nel codice civile, le parole: «figli legittimi» e «figli naturali», ovunque ricorrono, sono sostituite dalla seguente: «figli». Leggi tutto “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali: DDL approvato dalla Camera dei Deputati il 27/11/2012”

linee guida e buone pratiche escludono la responsabilità penale del medico per colpa lieve

l’art. 3 I co. della legge 8 novembre 2012, n. 189 prevede: L’esercente le professioni sanitarie che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo.

Andrea può essere un nome di donna anche in Italia

…Pertanto, la natura sessualmente neutra del nome Andrea, nella maggior parte dei paesi europei, nonché in molti paesi extraeuropei, tra i quali gli Stati Uniti, per limitarsi ad un ambiente culturale non privo d’influenze nel nostro paese, unita al riconoscimento del diritto d’imporre un nome di provenienza straniera al proprio figlio minore nei limiti del rispetto della dignità personale, così come definita nell’art. 34, primo comma, e 35 d.p.r. n. 396 del 2000, non può che condurre a una soluzione opposta a quella fornita dalla sentenza di secondo grado. Il nome Andrea, anche per le sua peculiarità lessicale, non può definirsi né ridicolo né vergognoso se attribuito ad una persona di sesso femminile, né potenzialmente produttivo di un’ambiguità nel riconoscimento del genere della persona cui sia stato imposto, non essendo più riconducibile, in un contesto culturale ormai non più rigidamente nazionalistico, esclusivamente al genere maschile. La ratio del divieto di attribuire un nome non corrispondente al sesso del minore, è sempre quella fondata sul massimo rispetto della dignità personale. Un segno distintivo così rilevante come il nome non può avere un contenuto di evidente confusione su un carattere, quale il genere, di primario rilievo. Ma, quando la caratterizzazione di genere, come nel caso del nome Andrea, ha perso la sua valenza distintiva esclusiva a causa dell’uso indifferenziato per entrambi i generi, in molti paesi stranieri, del nome in questione, la scelta dei genitori, alla luce dell’art. 34, secondo comma, è del tutto legittima perché non determina alcuno sconfinamento nella lesione della dignità personale.
Il ricorso deve, in conclusione, essere accolto. Il provvedimento della Corte d’Appello di Firenze deve essere cassato e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ. Ne consegue il rigetto del ricorso proposto dal pubblico ministero avverso l’imposizione del prenome “Andrea” alla figlia minore dei ricorrenti e la cancellazione della rettifica dell’atto dello stato civile disposta all’esito del giudizio di primo grado con la quale il prenome della minore è stato sostituito con “Giulia Andrea”. Non vi è luogo ad una statuizione sulle spese in ragione della qualità della parte soccombente…

così Cass.civ. n. 20385/2012

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