Quando la farmacia in turno di reperibilità risulti non accessibile all’utenza è reato!

Quando pertanto la singola farmacia in turno di reperibilità risulti non accessibile all’utenza, vi è un obiettivo turbamento della regolarità del servizio farmaceutico nel suo complesso. Nè il turbamento del complesso del servizio viene escluso dalla disponibilità in zone contigue di altri punti reperibili, o addirittura del servizio urgente ospedaliere): palese nel secondo caso un improprio intervento surrogatorio di diverso servizio pubblico non prestato, anche nel primo è evidente l’alterazione obiettiva dell’organizzazione del servizio farmaceutico (come ritenuta necessaria e, quindi, consapevolmente articolata in termini idonei a coniugare tutte le esigenze concorrenti, in particolare l’accesso, il meno possibile disagevole e il più tempestivo possibile, a prestazioni dovute e proprie del servizio pubblico espletato, in stretta correlazione alla tutela costituzionale del diritto alla salute). Pertanto, ogni qualvolta il farmacista In turno di reperibilità non assicuri il tempestivo adempimento del servizio farmaceutico vi è, secondo le contingenze dei casi, una condotta obiettiva di interruzione o di sospensione del servizio, che determina il turbamento della regolarità di tale servizio nel suo complesso.

Deve quindi affermarsi il principio di diritto per il quale l’ingiustificata inottemperanza delle funzioni proprie del servizio farmaceutico da parte del responsabile di farmacia in turno di reperibilità integra il reato di cui all’art. 331 c.p..

Cass. pen., Sez. VI, 3/12/2012, n. 46755

una sintesi delle ragioni dell’illegittimità costituzionale della mediazione obbligatoria

12.1.— Si deve premettere che, come questa Corte ha più volte affermato, «Il controllo della conformità della norma delegata alla norma delegante richiede un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli, l’uno relativo alla norma che determina l’oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega; l’altro relativo alla norma delegata da interpretare nel significato compatibile con questi ultimi.
Il contenuto della delega deve essere identificato tenendo conto del complessivo contesto normativo nel quale si inseriscono la legge delega e i relativi principi e criteri direttivi, nonché delle finalità che la ispirano, che costituiscono non solo base e limite delle norme delegate, ma anche strumenti per l’interpretazione della loro portata. La delega legislativa non esclude ogni discrezionalità del legislatore delegato, che può essere più o meno ampia, in relazione al grado di specificità dei criteri fissati nella legge delega: pertanto, per valutare se il legislatore abbia ecceduto tali margini di discrezionalità, occorre individuare la ratio della delega, per verificare se la norma delegata sia con questa coerente» (ex plurimis: sentenze n. 230 del 2010, n. 98 del 2008, nn. 340 e 170 del 2007).
In particolare, circa i requisiti che devono fungere da cerniera tra i due atti normativi, «i principi e i criteri direttivi della legge di delegazione devono essere interpretati sia tenendo conto delle finalità ispiratrici della delega, sia verificando, nel silenzio del legislatore delegante sullo specifico tema, che le scelte del legislatore delegato non siano in contrasto con gli indirizzi generali della stessa legge delega» (sentenza n. 341 del 2007, ordinanza n. 228 del 2005). Leggi tutto “una sintesi delle ragioni dell’illegittimità costituzionale della mediazione obbligatoria”

sulla prova della notifica del ricorso per cassazione

Cass. civ. VI – 3, Ord., 08-11-2012, n. 19387:

Trova applicazione al caso di specie il principio, espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “La produzione dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia del ricorso per cassazione spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale ai sensi dell’art. 149 cod. proc. civ., o della raccomandata con la quale l’ufficiale giudiziario da notizia al destinatario dell’avvenuto compimento delle formalità di cui all’art. 140 cod. proc. civ., è richiesta dalla legge esclusivamente in funzione della prova dell’avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio e, dunque, dell’avvenuta instaurazione del contraddittorio. Ne consegue che l’avviso non allegato al ricorso e non depositato successivamente può essere prodotto fino all’udienza di discussione di cui all’art. 379 cod. proc. civ., ma prima che abbia inizio la relazione prevista dal comma 1 della citata disposizione, ovvero fino all’adunanza della corte in camera di consiglio di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ., anche se non notificato mediante elenco alle altre parti ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 2. In caso, però, di mancata produzione dell’avviso di ricevimento, ed in assenza di attività difensiva da parte dell’intimato, il ricorso per cassazione è inammissibile, non essendo consentita la concessione di un termine per il deposito e non ricorrendo i presupposti per la rinnovazione della notificazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.; tuttavia, il difensore del ricorrente presente in udienza o all’adunanza della corte in camera di consiglio può domandare di essere rimesso in termini, ai sensi dell’art. 184-bis cod. proc. civ., per il deposito dell’avviso che affermi di non aver ricevuto, offrendo la prova documentale di essersi tempestivamente attivato nel richiedere all’amministrazione postale un duplicato dell’avviso stesso, secondo quanto previsto dalla L. n. 890 del 1982, art. 6, comma 1″ (Cass. S.U. n. 627/08)….

l’apposizione di recinzioni in paletti e reti metalliche non è volontà di alterare la destinazione dei luoghi

…. Considerato, con riferimento a tale ultimo profilo, che, come fondatamente dedotto nel terzo motivo, le opere in concreto realizzate non risultano, di per sé, idonee a violare quella potestà di programmazione del territorio che costituisce il presupposto per l’applicazione degli artt. 30 d.p.r. n. 380/01 e 23 l. r. n. 15/08 (in questo senso TAR Campania – Napoli n. 3636/11; TAR Liguria n. 446/11);

Considerato, infatti, che, in assenza di una formale frazionamento dell’area, l’apposizione di recinzioni in paletti e reti metalliche non è di per sé indicativa della volontà di alterare la destinazione urbanistica dei luoghi;

Considerato che nello stesso senso non risulta che i manufatti contestati siano attualmente destinati ad uso abitativo essendo nel provvedimento indicato solo che uno di essi è destinato a deposito di attrezzi e materiale vario;

Considerato, quindi, che le opere indicate non sono idonee a pregiudicare quella riserva, a favore dell’ente locale, della potestà di programmazione del territorio che costituisce il presupposto per l’applicazione delle norme (artt. 30 d.p.r. n. 380/01 e 23 l. r. n. 15/08) richiamate nel provvedimento impugnato;

Considerato che, in ogni caso, rimane impregiudicata l’applicazione delle ulteriori disposizioni che sanzionano la realizzazione di opere edilizie in assenza del necessario titolo abilitativo…

TAR Lazio, sez.I-quater, sent.n. 4558/2012 scaricabile quì

responsabilità del datore di lavoro per omicidio colposo da amianto

…il giudice del gravame ha anzitutto rilevato come gli esperti intervenuti nel confronto scientifico che ha caratterizzato il dibattito processuale abbiano collegato alla esposizione ad amianto, e quindi all’inalazione delle relative fibre, l’insorgenza dell’asbestosi ed abbiano evidenziato come, ad ogni ulteriore inalazione, abbia fatto seguito un aggravarsi della malattia, ritenuta “firmata” dall’amianto e determinata dalla mancata attuazione degli interventi necessari ad evitare la diffusione, all’interno dello stabilimento e nell’ambiente esterno circostante, delle polveri e delle fibre di amianto.

Lo stesso giudice, ancora rifacendosi alle valutazioni scientifiche provenienti dagli esperti, nel comparare tale patologia con il mesotelioma pleurico, ha sostenuto che l’asbestosi è una malattia “dose-correlata”, nel senso che il suo sviluppo e la sua gravità aumentano in relazione alla durata di esposizione all’inalazione delle fibre, per cui la quantità di asbesto che viene inalata nei polmoni e la sua pericolosità sono legati alla durata dell’esposizione. L’asbestosi è quindi considerata una malattia caratterizzata da una stretta correlazione fra “dose” di asbesto inalata e “risposta” dell’organismo. E’ stata poi evidenziata dagli stessi esperti la stretta correlazione tra asbestosi e mesioteloma pleurico ed è stata riconosciuta la predisposizione dei soggetti sottoposti ad inalazioni di amianto o portatori di asbestosi a contrarre il mesiotelioma pleurico con una probabilità di circa 13- 15 volte maggiore rispetto ad altri soggetti; è stato anche riconosciuto che detta neoplasia è caratterizzata da una latenza temporale molto elevata (20-40 anni) e da un decorso breve (1-2 anni).

E’, dunque, sulla base delle considerazioni di natura scientifica svolte dagli esperti intervenuti nel dibattito processuale che i giudici del merito sono pervenuti all’affermazione della responsabilità dell’imputato….
….Deve, dunque, riconoscersi che è proprio in adesione alle puntuali valutazioni scientifiche articolate nel corso degli esami dibattimentali che la corte territoriale ha sostenuto che la condotta dell’imputato – che ben poco aveva fatto rispetto alla portata del problema ed ai gravi rischi che incombevano sui lavoratori, a lungo lasciati esposti alle polveri di amianto, anche dopo la diagnosi della malattia (il livello di negligenza manifestato in proposito dall’azienda è facilmente desumibile dalla lettura della sentenza di primo grado) – ha avuto una precisa efficacia causale rispetto agli eventi oggetto d’esame, avendo provocato l’insorgenza della malattia o il suo aggravarsi, con un’accelerazione dei tempi di latenza della patologia….
Cass. pen., Sez. IV, ud. 19-04-2012 dep. 30-11-2012, n. 46428

La violenza si manifesta spesso con l’ “insistenza”: il reato di stalking a tre anni (o poco più) dalla sua introduzione

La violenza si manifesta spesso con l’ “insistenza”: il reato di stalking a tre anni (o poco più) dalla sua introduzione

a cura di www.studiolegaledesia.com

Ragioni di emergenza sociale, e di cronaca quotidiana, indussero il legislatore ad introdurre circa tre anni fa il reato di c.d. stalking; l’introduzione avvenne col cosiddetto “Decreto sicurezza” approvato con Decreto Legge 23 febbraio 2009, n. 11 (e convertito nella legge 23 aprile 2009, n. 38).

Oggi, perciò, abbiamo nel nostro codice penale l’art. 612bis intitolato: Atti persecutori. La norma prevede che: Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata. Leggi tutto “La violenza si manifesta spesso con l’ “insistenza”: il reato di stalking a tre anni (o poco più) dalla sua introduzione”

Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali: DDL approvato dalla Camera dei Deputati il 27/11/2012

Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali

DDL approvato dalla Camera dei Deputati il 27/11/2012

Art. 1.

(Disposizioni in materia di filiazione).

1. L’articolo 74 del codice civile è sostituito dal seguente:

«Art. 74. – (Parentela). – La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti».

2. All’articolo 250 del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il primo comma è sostituito dal seguente:

«Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall’articolo 254, dalla madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente»;

b) al secondo comma, le parole: «sedici anni» sono sostituite dalle seguenti: «quattordici anni»;

c) al terzo comma, le parole: «sedici anni» sono sostituite dalle seguenti: «quattordici anni»;

d) il quarto comma è sostituito dal seguente:

«Il consenso non può essere rifiutato se risponde all’interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell’altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente, che fissa un termine per la notifica del ricorso all’altro genitore. Se non viene proposta opposizione entro trenta giorni dalla notifica, il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso mancante; se viene proposta opposizione, il giudice, assunta ogni opportuna informazione, dispone l’audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, ove capace di discernimento, e assume eventuali provvedimenti provvisori e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che l’opposizione non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti opportuni in relazione all’affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell’articolo 315-bis e al suo cognome ai sensi dell’articolo 262»;

e) al quinto comma sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, salvo che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio».

3. L’articolo 251 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 251. – (Autorizzazione al riconoscimento). – Il figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio.

Il riconoscimento di una persona minore di età è autorizzato dal tribunale per i minorenni».

4. Il primo comma dell’articolo 258 del codice civile è sostituito dal seguente:

«Il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso».

5. L’articolo 276 del codice civile è sostituito dal seguente:

«Art. 276. – (Legittimazione passiva). – La domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità naturale deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in sua mancanza, nei confronti dei suoi eredi. In loro mancanza, la domanda deve essere proposta nei confronti di un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso.

Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse».

5. La rubrica del titolo IX del libro primo del codice civile è sostituita dalla seguente: «Della potestà dei genitori e dei diritti e doveri del figlio».

6. L’articolo 315 del codice civile è sostituito dal seguente:

«Art. 315. – (Stato giuridico della filiazione). – Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico».

8. Dopo l’articolo 315 del codice civile, come sostituito dal comma 7 del presente articolo, è inserito il seguente:

«Art. 315-bis. – (Diritti e doveri del figlio). – Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.

Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti.

Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.

Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle

proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa».

9. Nel titolo XIII del libro primo del codice civile, dopo l’articolo 448 è aggiunto il seguente:

«Art. 448-bis. – (Cessazione per decadenza dell’avente diritto dalla potestà sui figli). – Il figlio, anche adottivo, e, in sua mancanza, i discendenti prossimi non sono tenuti all’adempimento dell’obbligo di prestare gli alimenti al genitore nei confronti del quale è stata pronunciata la decadenza dalla potestà e, per i fatti che non integrano i casi di indegnità di cui all’articolo 463, possono escluderlo dalla successione».

10. È abrogata la sezione II del capo II del titolo VII del libro primo del codice civile.

11. Nel codice civile, le parole: «figli legittimi» e «figli naturali», ovunque ricorrono, sono sostituite dalla seguente: «figli». Leggi tutto “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali: DDL approvato dalla Camera dei Deputati il 27/11/2012”

linee guida e buone pratiche escludono la responsabilità penale del medico per colpa lieve

l’art. 3 I co. della legge 8 novembre 2012, n. 189 prevede: L’esercente le professioni sanitarie che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo.

Andrea può essere un nome di donna anche in Italia

…Pertanto, la natura sessualmente neutra del nome Andrea, nella maggior parte dei paesi europei, nonché in molti paesi extraeuropei, tra i quali gli Stati Uniti, per limitarsi ad un ambiente culturale non privo d’influenze nel nostro paese, unita al riconoscimento del diritto d’imporre un nome di provenienza straniera al proprio figlio minore nei limiti del rispetto della dignità personale, così come definita nell’art. 34, primo comma, e 35 d.p.r. n. 396 del 2000, non può che condurre a una soluzione opposta a quella fornita dalla sentenza di secondo grado. Il nome Andrea, anche per le sua peculiarità lessicale, non può definirsi né ridicolo né vergognoso se attribuito ad una persona di sesso femminile, né potenzialmente produttivo di un’ambiguità nel riconoscimento del genere della persona cui sia stato imposto, non essendo più riconducibile, in un contesto culturale ormai non più rigidamente nazionalistico, esclusivamente al genere maschile. La ratio del divieto di attribuire un nome non corrispondente al sesso del minore, è sempre quella fondata sul massimo rispetto della dignità personale. Un segno distintivo così rilevante come il nome non può avere un contenuto di evidente confusione su un carattere, quale il genere, di primario rilievo. Ma, quando la caratterizzazione di genere, come nel caso del nome Andrea, ha perso la sua valenza distintiva esclusiva a causa dell’uso indifferenziato per entrambi i generi, in molti paesi stranieri, del nome in questione, la scelta dei genitori, alla luce dell’art. 34, secondo comma, è del tutto legittima perché non determina alcuno sconfinamento nella lesione della dignità personale.
Il ricorso deve, in conclusione, essere accolto. Il provvedimento della Corte d’Appello di Firenze deve essere cassato e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ. Ne consegue il rigetto del ricorso proposto dal pubblico ministero avverso l’imposizione del prenome “Andrea” alla figlia minore dei ricorrenti e la cancellazione della rettifica dell’atto dello stato civile disposta all’esito del giudizio di primo grado con la quale il prenome della minore è stato sostituito con “Giulia Andrea”. Non vi è luogo ad una statuizione sulle spese in ragione della qualità della parte soccombente…

così Cass.civ. n. 20385/2012

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