liberazione anticipata: condotte anche successive al semestre detentivo possono assumere rilevanza negativa ma con congrua motivazione

…Questa Corte suprema di cassazione ha fissato i principi di diritto, ormai consolidati, secondo i quali in tema di liberazione anticipata, la valutazione frazionata per semestri del comportamento del condannato non deve essere intesa in senso rigido, giacchè l’accertamento della rispondenza al trattamento rieducativo, anche se legislativamente legato a siffatta cadenza temporale, implica un giudizio sulla disponibilità del soggetto i cui sintomi devono necessariamente ricavarsi da un esame complessivo della personalità secondo i principi sanciti dall’articolo 13 dell’Ordinamento Penitenziario, sicchè condotte anche successive, non comprese nel semestre o nei semestri scrutinati, possono assumere rilevanza negativa – alla stregua dei criteri della gravi-là. del comportamento e della contiguità o prossimità temporale – quali “indici della mancanza di reale disponibilità al trattamento per l’intero arco di tempo” (v. per tutte Sez. 1, n. 6615 M 11/12/1996 dep. 27/02/1997, P.M. in proc. Tollais, Rv. 206971 e, da ultimo, Sez. 1, n. 983 del 22/11/2011 – dep. 13/01/2012, Palamara, Rv. 251677); ma, in tal caso, incombe al giudice di merito il dovere di indicare puntualmente i motivi in base ai quali detta condotta viene a proiettare i propri effetti oltre il periodo semestrale in cui si è realizzata (Sez. 1, n. 777 del 06/02/1996 – dep. 12/03/1996, Galeandro, Rv. 203990), con valutazione approfondita in ordine ai connotati di gravità concretamente ravvisati nei fatti ai quali viene attribuita valenza negativa retroattiva (Sez. 1, n. 5819 del 22/10/1999 – dep. 04/01/2000, Signoriello, Rv. 215119). Orbene, nella specie, il Tribunale di sorveglianza non ha dato conto di siffatta doverosa disamina, in quanto dal provvedimento impugnato neppure è dato desumere il titolo del reato o dei reati, commessi dal condannato dopo i semestri in valutazione, nè l’epoca della commissione. Conseguono l’annullamento della ordinanza impugnata e il rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di sorveglianza di Napoli, il quale si uniformerà ai principi di diritto richiamati che questa Corte suprema di cassazione enuncia ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 2.

Cass. pen., Sez. I, 5.2.2013, n. 5738

una volta che il giudice abbia accolto la richiesta di archiviazione proposta dal pubblico ministero deve disporre anche della sorte delle cose sequestrate

…Secondo il principio statuito dalle sezioni unite di questa corte nell’anno 2002 (Cass., Sez. Un., n. 25161/2002, Rv. 221660), la competenza a deliberare sulla richiesta di anticipazione o liquidazione finale del compenso presentata dal custode di cose sequestrate nell’ambito di procedimento penale appartiene, nella fase successiva alla sentenza irrevocabile, al giudice dell’esecuzione; nella fase delle indagini preliminari al pubblico ministero il quale provvede con decreto motivato, nel corso del giudizio di cognizione al giudice che ha la disponibilità del procedimento il quale provvede de plano, osservandosi, in tutti i casi, le forme stabilite per il procedimento di esecuzione a norma dell’art. 666 c.p.p.. Leggi tutto “una volta che il giudice abbia accolto la richiesta di archiviazione proposta dal pubblico ministero deve disporre anche della sorte delle cose sequestrate”

ammissibile l’impugnazione della parte civile anche quando richieda la generica condanna

…allorché la parte civile impugni una sentenza di proscioglimento che non abbia accolto le sue conclusioni, chiedendo la riforma di tale pronunzia, l’atto di impugnazione, ricorrendo le altre condizioni, è ammissibile anche quando non contenga l’indicazione che l’atto stesso è proposto ai soli effetti civili, discendendo tale effetto direttamente dall’art. 576 c.p.p…
Cass., Sez. un., 8 febbraio 2013, n. 6509

il solo superamento delle quantità di droga non dimostra lo spaccio

…Va, allora, riaffermata la applicabilità delle comuni regole probatorie anche nella materia della detenzione di stupefacenti a fini di spaccio, dovendosi escludere che la relativa norma incriminatrice introduce una qualsiasi forma di prova legale, in particolare di presunzione di colpevolezza, come pure talora è stato affermato quale conseguenza della previsione di “dosi medie” individuate per ciascuno stupefacente; il superamento delle quantità predette da parte del detentore di droga non dimostra, di per sè, che la droga sia destinata all’uso di terzi…

Cass.pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 48

il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore

Cass., sez. Lav., 4 febbraio 2013, n. 2512 :

…Si è, infatti, affermato (Cass. Sez. Lav. n. 1994 del 13/2/2012) che “il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell’integrità fisica del lavoratore, è interamente responsabile dell’infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggere l’incolumità di quest’ultimo nonostante la sua imprudenza o negligenza; pertanto, la condotta imprudente del lavoratore attuativa di uno specifico ordine di servizio, integrando una modalità dell’iter produttivo del danno imposta dal regime di subordinazione, va addebitata al datore di lavoro, il quale, con l’ordine di eseguire un’incombenza lavorativa pericolosa, determina l’unico efficiente fattore causale dell’evento dannoso”.

Si è, altresì, statuito (Cass. sez. lav. n. 4656 del 25/2/2011) che “le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l’imprenditore, all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento, essendo necessaria, a tal fine, una rigorosa dimostrazione dell’indipendenza del comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro, e, con essa, dell’estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere”.
Orbene, nella fattispecie l’indagine compiuta dalla Corte di merito in maniera esente da vizi di natura logico-giuridica ha consentito di accertare, al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente, non solo la responsabilità di quest’ultima in ordine al grave infortunio occorso al lavoratore, per effetto del quale il medesimo subì la perdita di un occhio, ma anche un concorso di colpa del preposto B. , per cui se ne deduce che correttamente i giudici d’appello sono giunti alla conclusione che nessun elemento di colpa era ravvisabile nel comportamento del lavoratore in merito alla produzione dell’evento lesivo verificatosi in suo danno, dal momento che questi non aveva fatto altro che ubbidire a precise direttive datoriali tramite gli ordini del preposto B…

…Quanto al secondo rilievo, concernente la dedotta questione del divieto di cumulo degli accessori, si osserva che questa Corte ha già chiarito (Cass. Sez. Lav. n. 14507 dell’1/7/2011) che “la domanda proposta dal lavoratore contro il datore di lavoro volta a conseguire il risarcimento del danno sofferto per la mancata adozione, da parte dello stesso datore, delle misure previste dall’art. 2087 cod. civ., non ha natura previdenziale perché non si fonda sul rapporto assicurativo configurato dalla normativa in materia, ma si ricollega direttamente al rapporto di lavoro, dando luogo ad una controversia di lavoro disciplinata quanto agli accessori del credito dal secondo comma dell’art. 429 cod. proc. civ.. Ne consegue che non opera il divieto di cumulo di interessi e rivalutazione stabilito per i crediti previdenziali dall’ari 16, sesto comma, della legge n. 412 del 1991″. (conforme a Cass. Sez. Lav. n. 3213 del 18/2/2004)…

domanda principale dell’attore si estende automaticamente al fondo vittime della strada

La domanda principale dell’attore si estende automaticamente al chiamato in causa convenuto, quando la chiamata del terzo sia effettuata per ottenere la liberazione dello stesso convenuto dalla pretesa attorea, individuandosi il terzo come l’unico obbligato nei confronti dell’attore, in posizione alternativa con il convenuto ed in relazione alla medesima obbligazione dedotta in giudizio

Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2013, n. 679

Danneggiamento mediante omissione del patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale.

È configurabile il reato di cui all’art. 733 c.p. anche per omissione, potendosi, infatti, questo manifestare anche attraverso un comportamento continuo e prolungato, attivo o inerte, come per esempio il persistente stato di abbandono, tale da lasciare il bene materiale privo di ogni cautela da aggressioni umane (c.d. vandalismo), dai fattori naturali (insetti o agenti atmosferici) o da elementi chimico-fisici (i fattori inquinanti); e ciò, dal momento che l’evento da impedire, ai fini dell’operatività della clausola di equivalenza prevista dall’art. 40 comma 2 c.p., può essere costituito da qualsiasi fatto rispetto al quale possa essere posto il problema della causalità omissiva.

Ai fini della configurabilità di un danneggiamento per omissione ciò che rileva è la fonte del comando, della posizione di garanzia alla base dell’obbligo di agire, che, nella fattispecie di cui all’art. 733 c.p., va individuata negli obblighi di conservazione dei beni culturali imposti (anche) al privato proprietario dall’art. 30 del D.lgs. 42/2004 (“I privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali sono tenuti a garantirne la conservazione”). Detti obblighi delineano, in capo ai privati proprietari dell’edificio di rilevanza archeologica, una posizione di garanzia generatrice dell’obbligo giuridico di impedire l’evento tipico, ovvero il danneggiamento del rilevante bene archeologico, determinato dalla condotta inerte, e, a tratti, ostruzionistica, posta in essere per impedire agli organi competenti, ed in particolare alla Soprintendenza, l’effettuazione degli urgenti interventi di manutenzione e restauro.

Nella fattispecie di cui all’art. 733 c.p. ricorre il requisito del periculum in mora quando, nelle more del procedimento di acquisizione definitiva del bene da parte della P.A., la disponibilità dello stesso in capo agli indagati, in assenza di qualsivoglia condotta, pur doverosa, di conservazione e restauro, e di cooperazione nella manutenzione del bene, può determinare una situazione di ulteriore aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato, atteso che l’immobile di rilevanza storico-artistica e archeologica, in assenza di urgenti interventi di manutenzione e restauro, oltre ad essere sottratto alla fruizione, anche estetica, da parte della collettività, è sottoposto ad un processo di irreversibile degrado

Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Avellino, dott. G.Riccardi, imp. S., ord. 23 novembre 2012.

il genitore del disabile ha diritto al risarcimento danni da mancata corresponsione del servizio comunale

…in effetti, non si può non ritenere che il genitore di un figlio disabile al quale venga negata l’erogazione di un servizio assistenziale previsto dalla legge solo per ragioni burocratiche e che sia per questo costretto a prestare personalmente l’assistenza non subisca un pregiudizio a livello psicologico e morale, sia per lo stress legato alla necessità di adeguare le proprie attività lavorative e personali alla mutata situazione – e nella specie va tenuto presente che la sig.ra M. è madre di sei figli – sia per la sensazione di avere subito una profonda ingiustizia, tanto più ingiustificata e inaccettabile in quanto colpisce un figlio che versa in situazione di disabilità.
E anche con riguardo ai danni materiali di cui si chiede il ristoro può ritenersi raggiunta la prova circa la sussistenza del nesso causale, non essendo fra l’altro contestabile che per accompagnare la figlia a scuola la ricorrente ha dovuto utilizzare la propria autovettura ed ha dovuto compiere un tragitto aggiuntivo.
Ad identica conclusione deve pervenirsi con riguardo al danno indicato al precedente punto 2, let. a), visto che il Comune non ha contestato l’affermazione secondo cui durante la fruizione del congedo straordinario non maturano né le ferie, né la tredicesima e né il TFR. A tal proposito non si comprendono i rilievi della difesa del Comune circa il fatto che la ricorrente avrebbe fruito del congedo straordinario anche dopo l’attivazione del servizio. Se anche questo corrispondesse al vero, nella documentazione allegata alla memoria notificata del 10/10/2012 i 223 giorni di congedo straordinario risultano fruiti alla data dell’11/6/2011 (quindi in data addirittura antecedente a quella di pubblicazione della sentenza n. 684/2011)…

T.A.R. Marche – Ancona, Sezione I, 11 gennaio 2013, n. 23

le prove penali sono utilizzabili nel processo tributario

Cass. civ., Sez. V, 7/2/2013, n. 2916:

… 3.- Il motivo, che presenta aspetti d’inammissibilità per genericità, è comunque infondato.
Quanto al profilo concernente le “sommarie informazioni testimoniali”, va rilevato che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4 stabilisce che nel processo tributario “non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale”.
Nel nostro caso, a sostegno della sentenza impugnata non sono state dedotte prove testimoniali, bensì intercettazioni telefoniche e verbali di “testimonianze raccolte dalla guardia di finanza”.
3.1.- Sul punto, questa Corte ha già stabilito che, in tema di contenzioso tributario, le dichiarazioni di terzi raccolte dalla polizia tributaria ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di testimonianza, bensì di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative, le quali, benchè sfornite, ex se, di dirimente efficacia probatoria, comunque non si pongono in contrasto con il citato comma 4 dell’art. 7 (Cass. 11 marzo 2002, n. 3526).
3.2.- In particolare, si è precisato, la disposizione in questione, in quanto limitativa dei poteri delle commissioni tributarie e non pure dei poteri degli organi amministrativi di verifica, disciplinati da altre disposizioni, vale soltanto per la diretta assunzione, da parte del giudice tributario, nel contraddittorio delle parti, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, ovverosia della narrazione che, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio;le dichiarazioni dei terzi raccolte dai verificatori, invece, quand’anche nell’ambito di un procedimento penale, e inserite nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili quali elementi di prova (Cass. 30 settembre 2011, n. 20032; Cass. 20 aprile 2007, n. 9402; Cass. 29 luglio 2005, n. 16032; secondo Cass. 5 maggio 2011, n. 9876, in taluni casi le dichiarazioni possono assurgere al rango di presunzioni), anche a favore del contribuente (Cass. 14 maggio 2010, n. 11785).
4.- Quanto, poi, al profilo concernente le intercettazioni telefoniche, questa sezione ha già stabilito che “il divieto, posto dall’art. 270 c.p.p., di utilizzare i risultati di intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi da quello in cui furono disposte non opera nel contenzioso tributario, ma soltanto in ambito penale, non potendosi arbitrariamente estendere l’efficacia di una norma processuale penale, posta a garanzia dei diritti di difesa in quella sede, a dominii processuali diversi, come quello tributario, muniti di regole proprie” (Cass. 23 febbraio 2010, n. 4306).
4.1.- Si è al riguardo precisato che la regola propria del diritto tributario, applicabile in materia di IVA, è quella desumibile dal D.P.R. 29 settembre 1972, n. 633, art. 63, a norma del quale la guardia di finanza, cooperando con l’ufficio, trasmette “documenti, dati e notizie acquisiti direttamente o riferiti ed ottenuti dalle altre Forze di polizia, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria”, “previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria” E l’autorizzazione, si è aggiunto, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non già dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, non essendo prevista per filtrare l’acquisizione di elementi significativi a fini fiscali, ma soltanto per realizzare una maggiore tutela degli interessi protetti dal segreto (Cass. 5 febbraio 2007, n. 2450).
4.2.- Ciò posto, un atto legittimamente assunto in sede penale – va rimarcato, sul punto, che il ricorrente non dubita di tale legittimità- e trasmesso all’amministrazione tributaria giusta il richiamato art. 63, entra a far parte a pieno titolo del materiale probatorio e indiziario che il giudice tributario di merito deve valutare.
4.3.-Non si frappongono, d’altronde, ostacoli generali all’applicazione di questa regola particolare del diritto tributario.
In dettaglio, non si frappone anzitutto l’inviolabilità del diritto di libertà e di segretezza delle comunicazioni.
Il legittimo espletamento delle intercettazioni, del quale in questo giudizio non si dubita, implica che sia già intervenuto l'”atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge” richiesto dall’art. 15 Cost..
Non si frappone, poi, il diritto di difesa per la circostanza che, a differenza che nel processo penale, nel caso in questione il difensore del contribuente non è chiamato a partecipare alla formazione della prova racchiusa nell’atto trasmesso, in quanto, nel processo tributario, l’atto acquisito non è destinato ad assumere il valore probatorio che ad esso è riconosciuto nel processo penale: il minor tasso di garanzia del diritto al contraddittorio nel procedimento tributario si riverbera sulla minore attendibilità sul piano probatorio dell’atto.
Ma, e soprattutto, non ricorre nei procedimenti diversi da quello penale in seno al quale siano state autorizzate ed espletate le intercettazioni telefoniche, la ratio sottesa al divieto stabilito dall’art. 270 c.p., la quale è volta ad evitare che procedimenti con imputazioni fantasiose possano legittimare il ricorso alle intercettazioni, al fine di propiziarne l’utilizzazione in procedimenti per reati che non avrebbero consentito questo mezzo d’indagine.
5.- In coerenza con questi principi, la Corte, già in altri ambiti, ha riconosciuto l’utilizzabilità delle intercettazioni legittimamente espletate nel processo penale…

viaggio tutto compreso è obbligazione di risultato

…la sussistenza del danno da vacanza rovinata, nella specie, non è stato ritenuto sussistente in re ipsa, ma quale conseguenza del l’inadempimento al contratto di viaggio “tutto compreso”, con corretta applicazione, quindi, del regime della ripartizione dell’onere probatorio vigente in tema di responsabilità contrattuale, operante anche in base alla disciplina speciale (D.Lgs. n. 111 del 1995), non avendo l’operatore turistico provato nè il fatto del terzo, nè il fortuito. Anche sul punto, la decisione impugnata si rivela in armonia con il consolidato orientamento secondo cui, dal contratto di organizzazione di viaggio regolato dal D.Lgs. n. 111 del 1995 scaturisce in capo all’operatore turistico una obbligazione non di mezzi ma di risultato, per cui, in caso di inadempimento od inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico, è a carico dello stesso operatore l’allegazione e la dimostrazione che il mancato o inesatto adempimento sono stati determinati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, che può consistere soltanto, secondo quanto prevede l’art. 17 del predetto D.Lgs., nel fatto del terzo a carattere imprevedibile o inevitabile, ovvero nel caso fortuito o nella forza maggiore (Cass. n. 21343/2004;5189/2010)…

Cass. civ., Sez. III, 17/1/2013, n. 1033

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