licenziamento della lavoratrice

la disposizione della L. 9 gennaio 1963, n. 7, art. 2 – che prevede, in caso di nullità  del licenziamento della lavoratrice perchè intimato a causa di matrimonio, l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere alla lavoratrice medesima la retribuzione globale di fatto fino al giorno della riassunzione in servizio, stante la dipendenza della mancata prestazione lavorativa dall’illegittimo rifiuto di quest’ultimo di riceverla – non si riferisce (sia per il suo tenore letterale, sia per la diversità  della fattispecie) anche all’ipotesi della nullità  delle dimissioni della lavoratrice rassegnate – senza conferma all’ufficio del lavoro – nel periodo di interdizione di cui all’art. 1 della legge citata (ossia dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio fino ad un anno dopo la celebrazione dello stesso ) e, pertanto, l’obbligo della retribuzione con la mora credendi relativa del datore di lavoro sorge soltanto nel momento in cui la lavoratrice, facendo valere la nullità del proprio recesso e la perdurante validità  del rapporto di lavoro, offra nuovamente la propria prestazione, così Cass. civ., sez. lav., 17 maggio 2011, n. 10817.

post 2011

l’isolamento notturno

l’isolamento notturno, quale istituto generalizzato collegato alla pena dell’ergastolo con finalità segregante, non è più previsto dall’ordinamento giuridico, giacchè gli artt. 22, 23 e 25 cod. pen. devono ritenersi implicitamente modificati in parte qua a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 6, comma secondo, della L. 26 luglio 1975, n. 354, ove si prevede che i locali destinati al pernottamento dei detenuti consistono in “camere dotate di uno o più posti”; e che esso, comunque ispirato a una logica sanzionatoria, non può atteggiarsi a oggetto di una pretesa del detenuto che preferisca l’alloggiamento in camera individuale,

v. Cass.pen., sez. I, 1.6.2011, n. 22072

post 2011

diritto di accedere alla rete Internet e danno

Il Tribunale di S.Angelo dei Lombardi ha ritenuto che:

Sussiste, in primo luogo, il fumus boni iuris. Ed infatti la ricorrente, con analitica documentazione, ha dimostrato la propria qualifica imprenditoriale ed il proprio volume di affari (superiore ai dieci milioni di euro annui), evidenziando di essersi avvalsa dell’operato del funzionario XXX per la migrazione delle proprie linee telefoniche a XXX dopo un’infelice esperienza con YYY. La ricorrente ha altresì depositato i “codici migrazione” ritualmente consegnatigli da YYY già nel gennaio 2011 onde consentire a XXX di effettuare correttamente l’operazione di rientro, il che tuttavia non è avvenuto nei tempi contrattualmente stabiliti (sette giorni lavorativi)….Sussiste altresì il periculum in mora. Ed invero, la giurisprudenza è univoca nell’affermare che normalmente il pericolo del verificarsi di un danno patrimoniale non costituisce un danno grave ed irreparabile, in quanto il danno patrimoniale è per sua natura sempre riparabile mediante il successivo risarcimento; è noto infatti il principio secondo cui il pregiudizio irreparabile previsto dall’art. 700 c.p.c. sussiste solo quando siano in discussione posizioni soggettive di carattere assoluto, principalmente attinenti alla sfera personale del soggetto (e spesso anche dotate di rilievo e protezione a livello costituzionale), che rendano necessario un pronto ed immediato intervento cautelare al fine di assicurarne la completa tutela (cfr. Trib. Modena, 9 luglio 2003).

Orbene, non vi è dubbio che nella presente vicenda la posizione soggettiva della ricorrente rinvenga il proprio fondamento nel diritto di iniziativa economica privata, trovando un immediato addentellato costituzionale nell’art. 41 della Carta fondamentale, laddove la condotta illecita della resistente costituisce un vulnus alla necessità della comunicazione – anche e soprattutto telematica – della ricorrente (la cui compiuta efficienza costituisce una ineludibile necessità degli odierni traffici commerciali; ne è riprova – ad abundantiam ed in via esemplificativa – la recente presentazione di un disegno di legge costituzionale – n. 2485 – dal seguente tenore: “Dopo l’articolo 21 della Costituzione è inserito il seguente: «Art. 21-bis. Tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire le violazioni dei diritti di cui al Titolo I della parte I.»”). L’impossibilità di comunicare telefonicamente incide quindi in maniera significativa sulle modalità di svolgimento dell’attività imprenditoriale della ricorrente (si pensi, ad esempio, all’impossibilità o quantomeno alla maggiore difficoltà di effettuare o di ricevere commesse, anche via Internet), la quale si trova esposta al rischio di perdita di clientela o comunque di ritardi e difficoltà nella gestione dei propri rapporti commerciali, con conseguente necessità di tutela giurisdizionale immediata. La ricorrente ha altresì domandato corredarsi la condanna giudiziale di un provvedimento di coercizione indiretta ex art. 614-bis c.p.c., come introdotto dalla legge n. 69/2009.

La richiesta – invero sottratta al potere officioso del giudice e rimessa all’impulso di parte va accolta, dal momento che la condanna accessoria costituisce un indubbio stimolo per la re-sistente al sollecito adempimento del comando giurisdizionale, scongiurando altresì il rischio di un successivo contenzioso (in termini, Trib. Cagliari, 19 ottobre 2009). Nel caso di specie, peraltro, tale istituto acquisisce un decisivo rilievo in quanto l’ordine giurisdizionale di riattivazione delle linee telefoniche non è suscettibile di esecuzione forzata, giacché l’attività di ripristino non può concretamente prescindere dal comportamento attivo del gestore del servizio telefonico. Né l’ampiezza della dizione normativa (“Con il provvedimento di condanna …”) consente di escludere dal proprio alveo applicativo i provvedimenti a natura cautelare anticipatoria, tanto più ove gli stessi racchiudano – come nella presente vicenda – un ordine di prestazione (cfr. Trib. Varese, 16 febbraio 2011). L’art. 614-bis c.p.c. fornisce altresì i parametri di riferimento per la quantificazione della somma dovuta: “Il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile”. Orbene, alla luce di siffatti criteri e tenendo conto, soprattutto, del perdurante inadempi-mento della resistente, la quale non ha prestato esecuzione al decreto reso inaudita altera parte con ciò frustrando l’autorità delle decisioni giudiziarie (il che esclude qualsiasi iniquità), ritiene questo Giudice di quantificare in euro 50,00 per ogni giorno di ritardo nell’attivazione delle linee telefoniche la somma di denaro da corrispondersi dalla resistente in favore della ricorrente.

post 2011

vendita e garanzie dei beni di consumo

Corte di Giustizia Prima Sezione, 16 giugno 2011, procedimenti riuniti

1) L’art. 3, nn. 2 e 3, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 25 maggio 1999, 1999/44/CE, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, deve essere interpretato nel senso che, quando un bene di consumo non conforme, che prima della comparsa del difetto sia stato installato in buona fede dal consumatore tenendo conto della sua natura e dell’uso previsto, sia reso conforme mediante sostituzione, il venditore è tenuto a procedere egli stesso alla rimozione di tale bene dal luogo in cui è stato installato e ad installarvi il bene sostitutivo, ovvero a sostenere le spese necessarie per tale rimozione e per l’installazione del bene sostitutivo. Tale obbligo del venditore sussiste a prescindere dal fatto che egli fosse tenuto o meno, in base al contratto di vendita, ad installare il bene di consumo inizialmente acquistato.

2) L’art. 3, n. 3, della direttiva 1999/44 dev’essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che attribuisca al venditore il diritto di rifiutare la sostituzione di un bene non conforme, unico rimedio possibile, in quanto essa gli impone, in ragione dell’obbligo di procedere alla rimozione di tale bene dal luogo in cui è stato installato e di installarvi il bene sostitutivo, costi sproporzionati tenendo conto del valore che il bene avrebbe se fosse conforme e dell’entità del difetto di conformità. Detta disposizione non osta tuttavia a che il diritto del consumatore al rimborso delle spese di rimozione del bene difettoso e di installazione del bene sostitutivo sia in tal caso limitato al versamento, da parte del venditore, di un importo proporzionato.

post 2011

prova della esposizione del lavoratore all’amianto

In tema di prova della esposizione del lavoratore all’amianto ed al diritto di veder risarcita l’esposizione medesima, la Corte sottolinea come non sia necessario che il lavoratore fornisca la prova atta a qualificare con esattezza la frequenza e la durata dell’esposizione, potendo ritenersi sufficiente, qualora ciò non sia possibile, avuto riguardo al tempo trascorso ed al mutamento delle condizioni di lavoro, che mediante la ricostruzione dell’ambiente di lavoro e la individuazione delle fonti di esposizione all’amianto, si possa pervenire a formulare un giudizio di pericolosità dell’ambiente di lavoro, con un margine di approssimazione di ampiezza tale da indicare la presenza di un rilevante grado di probabilità di superamento della soglia prevista. In punto di prova sufficiente per ritenere provata l’esposizione superiore alla soglia prevista, questa Corte ha concluso che il legislatore, di fronte al nutrito contenzioso e alle difficoltà di accertamento, in sede giudiziale, sulla effettiva consistenza della esposizione all’amianto nelle varie realtà aziendali, (spesso dismesse e quindi non più verificabili) ha conferito pieno valore alla certificazione dell’INAIL concernente, per ciascun lavoratore, il grado di esposizione e la sua durata, rilasciata sulla base degli atti di indirizzo del Ministero del Lavoro, come mezzo di prova ai fini del beneficio in questione Cass. civ., Sez. lav., 10 giugno 2011, n. 12823

post 2011

abbandono della difesa

La Corte di cassazione n. 12903/2011 ha ritenuto che l’assenza da una udienza non integra abbandono della difesa e potrebbe spiegarsi anche in base a ragioni di scelta processuale, ed invero la assenza ad una udienza non può interpretarsi come sintomo di un atto abdicativo espresso o di revoca dell’incarico, nètampoco di un comportamento di abbandono ai fini della concessione al difensore di ufficio del termine a difesa.
L’ipotesi di abbandono prevista dall’articolo 105 del c.p.p. non è desumibile dal solo comportamento processuale del difensore di fiducia (anche nell’ipotesi di mancata comparizione all’interrogatorio di garanzia) stante l’equivocità  di un dato di mera astensione e la sua riconducibilità  ad una diversa, alternativa ed insindacabile, strategia processuale.
Corte di cassazione, Sezioni unite civili, 13 giugno 2011, n. 12903

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diciture quali copia d’autore o fac-simile

La Suprema corte con una sentenza del 14 giugno 2011 ha chiarito che la apposizione di diciture quali copia d’autore o fac-simile su prodotti industriali recanti marchi contraffatti, non fa venire meno la integrazione del reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, trattandosi di ipotesi delittuosa che tutela la fede pubblica, intesa come affidamento nei marchi o nei segni distintivi, e che integra una figura di reato di pericolo, per il cui perfezionamento è necessaria soltanto l’attitudine della falsificazione a ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell’acquisto, ma anche a quello della successiva utilizzazione.

post 2011

garante e banche

In assenza di una normativa che obblighi le banche a tracciare tutte le operazioni l’Autorità ha ritenuto di prescrivere agli istituti bancari l’adozione di rigorose misure. Ogni operazione di accesso ai dati dei clienti (sia che comporti movimentazione di denaro o sia di semplice consultazione), effettuata da qualunque figura all’interno della banca, dovrà essere tracciata attraverso una serie di elementi: il codice identificativo del dipendente; la data e l’ora di esecuzione; il codice della postazione di lavoro utilizzata; il codice del cliente ed il tipo di rapporto contrattuale “consultato” (numero del conto corrente, fido, mutuo, deposito titoli). In questo modo la banca saprà sempre chi e quando ha avuto accesso ad un determinato conto corrente o ha effettuato operazioni. I file di log di tracciamento delle operazioni, comprese quelle di semplice consultazione, dovranno essere conservati per un periodo di almeno 24 mesi. Le banche, inoltre, dovranno prevedere l’attivazione di alert che individuino comportamenti anomali o a rischio (es. consultazioni massive, accessi ripetuti su uno stesso nominativo). Almeno una volta l’anno la gestione dei dati bancari dovrà essere oggetto di un’attività di controllo interno da parte degli istituti, per verificare la rispondenza alle misure organizzative, tecniche e di sicurezza previste dalla normativa vigente. Il controllo, adeguatamente documentato, dovrà essere eseguito da personale diverso da quello che ha accesso ai dati dei clienti. E verifiche sulla legittimità e liceità degli accessi, sull’integrità dei dati e delle procedure informatiche dovranno essere effettuate anche a posteriori, sia a campione sia a seguito di allarme. Alle banche è stato infine raccomandato di comunicare al cliente eventuali accessi non autorizzati al proprio conto e di rendere note al Garante eventuali violazioni di particolare rilevanza (per quantità, qualità dei dati, numero dei clienti).

Roma, 13 giugno 2011

se ne parla anche su

http://www.garanteprivacy.it/garante/doc.jsp?ID=1817182

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gli atti unilaterali con i quali un ente pubblico delibera di costituire una società

il Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 3 giugno 2011, n. 10 ,sancisce che gli atti unilaterali con i quali un ente pubblico delibera di costituire una società (o di parteciparvi o di procedere ad un atto modificativo o estintivo della società medesima) sono soggetti alla giurisdizione amministrativa. Detti atti prodromici devono essere tenuti (sul piano logico, cronologico e giuridico) nettamente distinti dai successivi atti negoziali, sempre imputabili all’ente pubblico, con cui l’ente, spendendo la sua capacità di diritto privato, pone in essere un atto societario (costituzione di una società, acquisto o vendita di quote societarie, modifica o scioglimento di una società).

post 2011

atti del giudice ricusato

la decisione che definisce il procedimento assunta in violazione del divieto dell’art. 37 c.p.p. dal giudice nei cui confronti sia stata proposta istanza di ricusazione è affetta da nullità  assoluta ex art. 178, comma 1, lett. a) c.p.p. solo se la ricusazione viene accolta; conserva, invece, validità  nei casi in cui la ricusazione è rigettata o dichiarata inammissibile, v. Cass.pen. S.U. n. 23122, de 9 giugno 2011

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