La geografia degli interventi della riforma Orlando

Dal giorno 3 agosto 2017 sono operative le interpolazioni – c.d. riforma Orlando – al codice penale e di procedura penale.

Volendo tentare – con enorme sforzo – di fare una sintesi dei “luoghi” di intervento, abbiamo la seguente situazione “geografica”.

Nel penale sostanziale:

1.- sono stati modificati i termini di prescrizione dei reati;

2.- è nata una causa di estinzione del reato a seguito del risarcimento danni/riparazione;

3.- sono aumentate le pene per alcuni reati: scambio elettorale politico-mafioso; furto in abitazione e furto con strappo; rapina anche aggravata; estorsione aggravata;

4.- è modificata la disciplina del bilanciamento di determinate circostanze aggravanti (del furto e della rapina).

Nel penale processuale:

1.- una nuova disciplina per gli imputati incapaci irreversibili;

2.- assenso del difensore d’ufficio all’elezione di domicilio presso di sé;

3.- modifica del differimento del colloquio del difensore con l’imputato in custodia cautelare, ristretta solo a particolari gravi reati;

4.- ulteriori diritti informativi per la p.o., circa lo stato del procedimento con relativa informazione in merito;

5.- allungamento dei termini per l’opposizione all’archiviazione, ora venti giorni o trenta per delitti con violenza sulle persone, e furto in abitazione e con strappo;

6.- diversa scansione dei tempi delle indagini preliminari, ed interventi in particolare su: incidente probatorio; durata della fase investigativa; avocazione obbligatoria; archiviazione; vizi del provvedimento archiviativo e relativa impugnazione;

7.- appellabilità della sentenza di non luogo a procedere;

8.- rilevantissime modifiche al giudizio abbreviato; all’applicazione della pena su richiesta delle parti ed al decreto penale di condanna;

9.- struttura normativizzata della motivazione;

10.- disciplina generale delle impugnazioni; dell’appello; reintroduzione del concordato anche con rinuncia ai motivi di appello;

11.- eliminazione della facoltà/diritto per l’imputato di proporre personalmente il ricorso in cassazione e modifiche al procedimento in cassazione stesso;

12.- rescissione del giudicato e competenza che passa alla Corte d’Appello;

13.- modifiche delle disposizioni di attuazione tra le quali l’ordinariarizzazione della partecipazione al dibattimento a distanza in molti casi.

IL DIBATTIMENTO NEL PROCESSO PENALE MINORILE

IL DIBATTIMENTO NEL PROCESSO PENALE MINORILE

a cura di Danilo Iacobacci

1.- L’udienza dibattimentale minorile.

Le definizioni “alternative” al dibattimento nel processo penale minorile manifestano una palese vantaggiosità; al punto che possiamo dire, senza timore di essere smentiti, che la fase dibattimentale (o, se si preferisce, l’udienza dibattimentale) nel processo penale minorile è relegata ad un ruolo di (forse) meritata marginalità.

Peraltro, per struttura e per funzione la fase dibattimentale è forse la fase processuale più simile a quella parallela ed analoga presente nel giudizio che, invece, si svolge innanzi al tribunale ordinario per l’imputato maggiorenne.

A differenza di ciò che accade nel giudizio ordinario, ove percorrere la più completa via processuale può condurre ad indubbi vantaggi, nel giudizio penale minorile può essere, invece, utile “fermarsi” all’udienza preliminare; e ciò, sia per i possibili “salvagente” normativi e sia, più in generale, per la benevolenza con la quale la magistratura minorile approccia le vicende penali dei giovani che si pongono in contrasto con la norma incriminatrice. E ciò, soprattutto quando il fenomeno delittuoso è estemporaneo e/o occasionale.

Ad ogni buon conto, anche per il giudizio penale minorile il c.d. Dibattimento è la fase del processo finalizzata alla formazione delle prove e caratterizzata da una serie di garanzie difensive rette, più in alto, da taluni principi cardine del sistema penale; per il giudizio minorile questi sono senz’altro: l’oralità, l’immediatezza e concentrazione, ed il noto principio del contraddittorio.

Chiaramente non può parlarsi di dibattimento senza passare per la nozione di istruttoria dibattimentale, ovverosia la fase nella quale v’è l’ammissione delle prove e la loro assunzione e, più in generale, la raccolta di tutti gli elementi di prova (recte: di tutte le prove) necessari a consentire al giudicante di pervenire ad un giudizio sulla penale responsabilità dell’imputato per il fatto-reato contestatogli. In breve, la prova, di regola, si forma nel dibattimento attraverso l’istruttoria dibattimentale, e (nel dibattimento) solo in esito ad essa si perviene alla decisione e solo sulla base delle prove ivi assunte (eccetto le note deroghe legalmente tipizzate, come ad esempio l’incidente probatorio). Leggi tutto “IL DIBATTIMENTO NEL PROCESSO PENALE MINORILE”

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la Corte Costituzionale con la sentenza n. 76/2017 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies, comma 1-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354

la Corte Costituzionale con la sentenza n. 76/2017 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies, comma 1-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354, cioè le Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, limitatamente alle parole “Salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell’articolo 4-bis”, aprendo così di fatto le porte al beneficio a tale categoria.

SOS PENALE AVELLINO – Avvocato penalista ad Avellino

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    Diritto dell’Esecuzione penale e Sorveglianza | Avvocato Avellino

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    La diffamazione tramite social network è aggravata (con le conseguenze in tema di Giudice competente)

    L’intervento recente della Corte di Cassazione penale (Cass.pen, sez. I, 2/12/2016, n. 50) ha confermato l’orientamento ad avviso del quale la diffamazione tramite social network è aggravata, con tutte le conseguenze in tema di competenza in capo al tribunale monocratico.

    Leggendo la pronuncia, si apprende che: Deve, invero, essere data continuità al principio di diritto, affermato da questa Corte, Sez. 1, nella sentenza n. 24431 del 28/04/2015, Rv. 264007, secondo cui la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 terzo comma cod. pen., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone; l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato a coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche dei social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica, che è quella di incentivare la frequentazione della bacheca da parte degli utenti, allargandone il numero a uno spettro di persone sempre più esteso, attratte dal relativo effetto socializzante.

    La circostanza che l’accesso al social network richieda all’utente una procedura di registrazione – peraltro gratuita, assai agevole e alla portata sostanzialmente di chiunque – non esclude la natura di “altro mezzo di pubblicità” richiesta dalla norma penale per l’integrazione dell’aggravante, che discende dalla potenzialità diffusiva dello strumento di comunicazione telematica utilizzato per veicolare il messaggio diffamatorio, e non dall’indiscriminata libertà di accesso al contenitore della notizia (come si verifica nel caso della stampa, che integra un’autonoma ipotesi di diffamazione aggravata), in puntuale conformità all’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte che ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 595 terzo comma cod. pen. nella diffusione della comunicazione diffamatoria col mezzo del fax (Sez. 5 n. 6081 del 9/12/2015, Rv. 266028) e della posta elettronica indirizzata a una pluralità di destinatari (Sez. 5 n. 29221 del 6/04/2011, Rv. 250459).

    Di conseguenza: L’aggravante contestata radica la competenza per materia del Tribunale in ordine al reato di diffamazione, che attrae per connessione quello di minaccia, ex art. 6 commi 1 e 2 D.Lgs. n. 274 del 2000, ascritto nell’imputazione come commesso con la medesima condotta, diffusiva di messaggi diretti contestualmente e contemporaneamente a offendere entrambi i beni giuridici tutelati dagli artt. 595 e 612 cod. pen.

    L’abrogazione del reato fa venire meno anche le statuizioni civili

    www-studiolegaledesia-com_avvocati_avellinoCon la sentenza n. 46688 del 2016, le Sezioni Unite Penali della Corte hanno interrogate circa il Se, in caso di sentenza di condanna relativa ad un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile, sottoposto a sanzione pecuniaria civile ai sensi del Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice della impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, debba revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili”, hanno risposto che In caso di sentenza di condanna relativa a un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile, sottoposto a sanzione pecuniaria civile, ai sensi del Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice della impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili. Il giudice della esecuzione, viceversa, revoca, con la stessa formula, la sentenza di condanna o il decreto irrevocabili, lasciando ferme le disposizioni e i capi che concernono gli interessi civili.
     
    Si sono ovviamente formate una serie di sentenze conformi, es. Cass. Penale Sent. Sez. 5 Num. 55077 Anno 2016.
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